Accordo commerciale USA-UE, tregua strategica o resa economica?

28/07/2025 13:45
Accordo commerciale USA-UE, tregua strategica o resa economica?

L’intesa commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea segna la fine di mesi di incertezza e minacce tariffarie, ma dietro l’apparente stabilità si nascondono squilibri geopolitici e reazioni divergenti tra politica e mercati. Ecco come cambia il panorama economico europeo.

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L’intesa commerciale allontana il rischio di guerra, ma solleva nuovi interrogativi

L’accordo siglato tra Stati Uniti e Unione Europea, che fissa una tariffa base del 15% su una vasta gamma di beni europei in ingresso negli USA, è stato accolto dai mercati come un segnale di distensione. Secondo Michael Metcalfe, Head of Macro Strategy di State Street Global Markets, si tratta di un compromesso che allontana lo spettro di una guerra commerciale che aveva minacciato di raggiungere dazi ben oltre il 25%. Sebbene permangano scadenze cruciali su altri fronti, come quello con la Cina, questo passo indietro sembra stabilizzare il livello tariffario americano nella fascia 15-20%.

L’impatto immediato si è fatto sentire sui mercati, in particolare su quello azionario, tornato a reagire più sensivamente alle notizie geopolitiche. Tuttavia, spiega Metcalfe, la domanda di azioni USA da parte di investitori esteri ha iniziato ad affievolirsi, lasciando emergere un nuovo focus sull’Europa. L’euro e le azioni europee, in precedenza penalizzate dalla prospettiva di scontri commerciali, avevano già beneficiato della prima ondata di rivalutazione a partire da aprile. Ma il timore di una guerra con Washington aveva finora bloccato le posizioni più espansive degli investitori.

Con la Bce che riporta la politica su un terreno più neutro e la stabilizzazione delle tensioni internazionali, si apre oggi un nuovo scenario: gli investitori valuteranno se è il momento di aumentare l’esposizione su asset europei, sulla scia di un possibile miglioramento delle aspettative di crescita. Resta però da vedere se le condizioni macroeconomiche riusciranno a sostenere questa nuova fiducia.

Europa favorita dalla tregua, ma lo slancio resta da costruire

L’accordo con gli Stati Uniti rappresenta un’occasione significativa per l’Europa. Come sottolinea Robert Schramm-Fuchs, portfolio manager di Janus Henderson, evitata l’escalation che avrebbe potuto scattare con la scadenza del 1° agosto, il dazio del 15% viene descritto come un compromesso accettabile, molto più leggero rispetto al minacciato 50%.

I settori europei più esposti (auto, farmaceutica, semiconduttori) rientrano nella tariffa uniforme, mentre aerospazio, chimica selezionata e alcuni prodotti agricoli sono esentati. Ancora più rilevanti sono gli impegni presi dall’UE: 750 miliardi di dollari per l’acquisto di energia statunitense e 600 miliardi di investimenti diretti negli USA, comprese importanti forniture militari.

Secondo Schramm-Fuchs, la rimozione di questo “fattore di incertezza” consente al mercato di focalizzarsi di nuovo su dinamiche più strutturali, come il rafforzamento dell’unione dei mercati dei capitali, la semplificazione burocratica e una regolamentazione finanziaria più leggera. Sono queste, a suo avviso, le vere leve per una crescita sostenuta.

Anche la composizione dei portafogli comincia a cambiare: da titoli difensivi si passa a comparti più ciclici e sottovalutati, in una rotazione che potrebbe portare benefici a una gamma più ampia di aziende. Schramm-Fuchs sottolinea come sia in fasi simili che spesso avviene un cambiamento di leadership nei settori trainanti del mercato.

Entusiasmo sui listini, euro sotto pressione

Secondo Saverio Berlinzani, chief analyst di ActivTrades, se da un lato l’accordo appare positivo per i mercati azionari, dall’altro l’euro ne esce indebolito, perdendo circa l'1% contro il dollaro. Questo segnale suggerisce che gli operatori valutano in modo meno favorevole l’impatto reale dell’intesa sul quadro macroeconomico europeo.

Il settore automobilistico, tra i più vulnerabili a eventuali dazi punitivi, ha tirato un sospiro di sollievo, così come farmaceutico e semiconduttori, sebbene siano anch’essi soggetti al 15%. Resta un punto critico: l’accordo non è blindato. Trump conserva la facoltà di modificarlo unilateralmente, nel caso l’UE non rispetti gli impegni.

Anche se alcuni comparti (come aerospazio, macchinari e cereali) hanno beneficiato di esenzioni tariffarie, l’intesa viene ancora considerata squilibrata. In particolare, le contropartite europee sembrano sostanziali, mentre i benefici ricevuti sono difficilmente quantificabili.

L’analista sottolinea che la reazione dei mercati azionari è stata nel complesso positiva, ma non cancellano del tutto la sensazione di un vantaggio sproporzionato per Washington.

Un compromesso asimmetrico

La narrazione ufficiale presentata da Donald Trump e Ursula von der Leyen, “la più grande intesa commerciale della storia transatlantica”, si scontra con una lettura più critica espressa da Gabriel Debach, market analyst di eToro. L’accordo è definito non tanto un avanzamento, quanto un “passo indietro più piccolo del previsto”. Il dazio del 15% rappresenta un arretramento dell’Europa, accettato pur di evitare scenari peggiori.

Le esenzioni limitate su alcuni settori e il mantenimento dei dazi su acciaio e alluminio al 50% non modificano l’equilibrio generale, secondo Debach. L’impegno di spesa europeo, 600 miliardi di dollari in investimenti industriali e 150 miliardi in acquisti di energia e armamenti, non è una concessione reciproca, bensì una tassa di accesso imposta sotto pressione. Il commercio viene così trasformato da strumento di cooperazione in leva geopolitica.

Tuttavia, il mercato ragiona con logiche proprie. Nei primi trenta minuti di contrattazioni, gli indici europei hanno mostrato segnali chiari di ottimismo. Hanno brillato i titoli con forte esposizione internazionale, in particolare auto e semiconduttori, ma anche il settore bancario ha beneficiato dell’allentamento del rischio sistemico.

Secondo Debach, l’impegno europeo all’acquisto di armamenti USA viene visto come una penalizzazione dell’industria continentale, che rischia di perdere competitività proprio nei comparti in cui avrebbe potuto esprimere maggiore autonomia strategica.

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