Balance sheet recession

In economia, gran parte della saggezza consiste nel sapere che non sai (J.K. Galbraith).
Richiesta sussidi alla disoccupazione in USA (stima 255k contro 256 k della scorsa settimana). I dati Europei usciti ieri (PMI composito e servizi) sono leggermente migliori delle aspettative, mentre le vendite al dettaglio si sono rivelate decisamente peggiori (-3,7% contro -1,7% atteso). Sostanzialmente in linea con le attese PMI e ISM manifatturiero USA.
Diverse volte ci siamo soffermati sull’enorme debito privato accumulato dalle famiglie americane (household debt), pari alla fine di giugno a 16,15 trilioni di dollari, ovvero l’80% circa del PIL (in Italia è circa il 43%) e di come questo potesse condizionare la ripresa economica. L’eccesso di debito del settore privato diventa sempre meno sostenibile soprattutto alla luce di due trimestri di riduzione del PIL e rende necessario ridimensionare la leva finanziaria. Gli stimoli e gli aiuti fiscali governativi hanno effetti diversi sulle dinamiche del moltiplicatore fiscale e monetario e suggeriscono che le attuali aspettative di crescita della FED per il 2022 e 2023 potrebbero essere sopravvalutate.
In altre parole, se l’economia non recupera i tassi di crescita in linea con le attese, la domanda interna potrebbe non essere in grado di fornire il supporto necessario per compensare la riduzione delle politiche fiscali (fare spesa pubblica a ritmi del 25% del PIL all’anno è chiaramente insostenibile nel lungo periodo).
Il risultato finale sarebbe una doppia caduta del PIL e una nuova recessione, nella quale però la politica monetaria dei tassi a zero non avrebbe più alcuna efficacia (trappola della liquidità) e dal quel momento ogni riduzione degli stimoli e/o aiuti fiscali avrebbero un impatto negativo sulla crescita.
A quale rischio è esposta l’economia USA? Il rischio è che il settore privato, avendo accumulato una grande quantità di debiti, tagli le spese e per questa via determini una forte flessione della domanda e degli investimenti privati spingendo l’economia verso la recessione o peggio la stagflazione. Da un lato agiscono infatti forze reflazionistiche messe in atto dal settore pubblico (QE e politica fiscale), ma dall’altro agiscono invece forze deflazionistiche messe in atto dal settore privato (riduzione del debito) che controbilanciano le prime. Il risultato finale sarebbe un ristagno economico con una inflazione resiliente (vedi il Giappone negli anni ’90). Le politiche della FED è probabile che confermino tassi reali negativi ancora per diverso tempo. Ma nel lungo periodo questa situazione trasformerà il dollaro in una divisa di carry trade (destino già vissuto dallo Yen negli ultimi 15 anni). I tassi reali a zero o non bastano più, occorre un’economia che cresce per uscire dall’impasse.
I mercati, almeno nella fasa iniziale, potrebbero reagire in modo positivo al calo dell’inflazione dovuto alla recessione (l’inflazione è causa ed effetto della sua stessa riduzione), ma la recessione e/o la stagnazione economica potrebbero rendere il debito in circolazione non ripagabile e questo sarebbe la miccia che accenderebbe quella che si chiama balance sheet recession.
In questa situazione e in un’ottica di lungo periodo, riteniamo che l’oro (del quale abbiamo discusso in precedenza) così come gli altri metalli preziosi, rimarrebbe un asset importante per la salvaguardia degli investimenti.
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