BCE: i tassi saliranno ancora e rimarranno alti a lungo. E la ripresa economica?


La BCE stima una crescita del Pil dell’1% nel 2023 ma nel 2024 e il 2025 la crescita sarà frenata dal perdurare dell’inasprimento delle condizioni finanziarie.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Ieri la revisione dell’inflazione dell’Europa di marzo non ha riservato sorprese: 6,9% in linea con il dato di fine marzo.

In previsione del prossimo meeting fissato per il 4 maggio prossimo, la BCE comincia a sondare i mercati attraverso interviste ai suoi principali esponenti. Ieri è stato il turno del capo economista e membro del Consiglio Direttivo, Lane, intervenuto al summit delle imprese irlandesi. Secondo la sua analisi, è possibile che la BCE aumenti ulteriormente il tasso di riferimento nel breve termine e lo lasci elevato per un periodo di tempo prolungato, qualora la dinamica di inflazione non mostri evidenti segnali di miglioramento. Le nostre attese sono per un aumento di 25 bp il prossimo 4 maggio.

Nonostante il rialzo di 350 bp negli ultimi 12 mesi, l’inflazione fatica a ridursi (soprattutto quella core). I motivi sono diversi, ma riteniamo che siano sostanzialmente riconducibili a due: una crescita dei prezzi dovuti ad uno schock nell’offerta (energia in primis), sulla quale la BCE ha le armi spuntate e l’enorme massa di liquidità erogata al sistema nel corso della pandemia e della guerra. Come noto, questo ha creato non solo le condizioni per un’esplosione dell’inflazione, ma profondi squilibri nell’allocazione degli investimenti.

Le attese della BCE, una volta che l’inflazione arriverà nell’intorno dell’obiettivo del 2%, non prevedono un ritorno a livelli di tassi reali negativi e quindi ad una politica monetaria altamente accomodante. In altre parole, politiche monetarie fortemente espansive, accompagnate dai tassi reali mantenuti negativi per un lungo periodo, non possono inquadrarsi all’interno di una ordinata crescita economica: sono straordinarie e come tali devono avere una vita breve.

Negli ultimi mesi gli straordinari shock sul lato dell'offerta, associati alle strozzature delle catene di approvvigionamento e alla crisi energetica, si stanno invertendo, fornendo la base per una prospettiva più ottimistica per l'economia dell’intera area euro rispetto a quanto atteso lo scorso autunno. Questo, consente un rafforzamento della fiducia delle imprese e dei consumatori e sostiene i redditi e l'attività economica, riducendo al contempo le pressioni sui prezzi. L'aumento dei salari fornisce un ulteriore sostegno alla domanda.

Le ultime proiezioni della BCE di marzo stimano un rimbalzo dell'attività economica nel corso dell'anno, con una crescita prevista in media dell'1% e segnano una significativa revisione al rialzo del PIL rispetto alle proiezioni di dicembre 2022.

Allo stesso tempo però, il perdurare dell'inasprimento delle condizioni finanziarie, l'apprezzamento dell'euro e il graduale ritiro del sostegno fiscale peseranno sulla domanda aggregata nel medio termine, con una produzione che appare destinata ad espandersi meno rapidamente sia nel 2024 che nel 2025 rispetto alle precedenti aspettative. L'inversione degli shock di offerta, unita all'inasprimento della politica monetaria, sta a significare che la BCE ha rivisto al ribasso il percorso dell'inflazione nell’orizzonte di stima.

La ripresa dovrebbe essere sostenuta dai consumi privati che dovrebbero rafforzarsi con l'attenuarsi dell'incertezza, in particolare per quanto riguarda la sicurezza energetica, e con il calo dell'inflazione che consentirà la ripresa del reddito reale disponibile in presenza di prospettive occupazionali favorevoli.

Una riduzione del risparmio precauzionale dovrebbe essere in parte controbilanciata da tassi di interesse più elevati, con il tasso di risparmio che dovrebbe diminuire solo gradualmente per tornare ai livelli pre-pandemia nel medio termine. Il consistente stock di risparmio in eccesso accumulato durante la pandemia dovrebbe comunque rimanere sostanzialmente intatto (in termini nominali), in parte a causa della sua distribuzione orientata verso le famiglie a reddito più elevato, che hanno una propensione al consumo relativamente bassa.

Non è da escludere che nei prossimi trimestri l'inasprimento delle condizioni di finanziamento possano pesare anche sugli investimenti residenziali e commerciali. Le banche, già ben prima delle recenti turbolenze sui mercati finanziari, hanno segnalato un sostanziale inasprimento degli standard creditizi e delle condizioni di prestito alle imprese attraverso la Bank Lending Survey (BLS) della BCE. Riteniamo che a medio termine gli investimenti in immobili commerciali possano risentire in modo particolarmente duro delle condizioni di prestito più restrittive, mentre il forte rallentamento previsto dei prezzi delle abitazioni è atteso ridurre gli investimenti residenziali.

Al contrario, è probabile che gli investimenti delle imprese si riprendano in modo vivace sulla scia dell'aumento della domanda e del rafforzamento della fiducia delle imprese, sostenuti anche dall'impiego dei fondi NGEu. Come noto, le imprese si finanziano principalmente in quattro modi: attingendo agli utili non distribuiti; ottenendo prestiti dalle banche; ottenendo prestiti dai mercati obbligazionari; raccogliendo capitale.

Di norma però, condizioni di finanziamento più severe sono attese avere un impatto maggiore sulle imprese che dipendono fortemente da mezzi di terzi. In particolare, le imprese in fase iniziale prive di patrimonio accumulato e che potrebbero trovarsi in una fase di pre-redditività saranno maggiormente colpite rispetto alle imprese mature che hanno un debito ridotto. Da uno sguardo ai settori, quelli a più alta intensità di capitale saranno più esposti rispetto ai settori a bassa intensità di capitale e ai settori che producono servizi per i quali la domanda è meno sensibile alle variazioni dei tassi di interesse.

Tra le fonti di finanziamento citate, quella che riteniamo sia da privilegiare perché meno costosa rispetto alle altre, è la raccolta di capitale attraverso l’emissione di azioni: in altre parole attraverso una quotazione. Un modo per misurare il costo complessivo di una quotazione è quello di considerare il costo del capitale proprio, che è calcolato come la somma del tasso privo di rischio a lungo termine e del premio per il rischio azionario, ovvero il compenso aggiuntivo richiesto dagli investitori per il rischio di detenere azioni.

Anche il costo nominale del capitale proprio per le imprese dell'area dell'euro è rimasto contenuto durante la fase di inasprimento della politica monetaria in corso. Nonostante aumenti temporanei nel 2022, si è registrato un calo complessivo di circa 130 punti base del costo del capitale proprio dalla fine del 2021 poiché l'aumento dei tassi privi di rischio è stato più che compensato da un premio per il rischio azionario inferiore, che riflette una propensione al rischio di mercato complessivamente positiva.

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