Bce: “Inflazione elevata fino al 2025”. Ma sembra crederci poco


Le previsioni di inflazione della BCE la collocano al 2,1% nel 2025, con una revisione al ribasso rispetto alle precedenti proiezioni formulate in dicembre. Ma probabilmente nemmeno alla BCE ci credono, visto che sottolineano che l’intervallo di confidenza attorno a queste previsioni è “insolitamente ampio”.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Ordini di beni durevoli USA MoM di febbraio in uscita oggi alle 14:30 (stima 1,2% contro -4,5% di gennaio) e PMI composito di marzo alle 14:45 (stima 47,5 punti contro 50,1 di febbraio).

Ieri le richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione sono risultate più basse delle aspettative (191k contro 197 attese) e di quella della scorsa settimana, pari a 192k. Economia USA che continua quindi a creare posti di lavoro e sembra ben lungi dal rallentare.

L’intervento del presidente della BCE, intervenuta mercoledì scorso alla conferenza “The ECB and its Watchers XXIII”, non è stato particolarmente denso di novità per i mercati. La Lagarde si è infatti limitata a ribadire che l’area euro è stata colpita da uno shock inflazionistico che si sta trasmettendo all’economia e che l’inflazione complessiva segnerà probabilmente una brusca flessione quest’anno, per effetto del calo dei prezzi dell’energia e dell’allentamento delle strozzature dell’offerta, ma la dinamica dell’inflazione di fondo rimane vigorosa. Nulla di nuovo quindi.

Così come nulla di nuovo è stato detto circa il percorso futuro della politica monetaria. Dopo aver ricordato che l’aumento complessivo dei tassi negli ultimi 12 mesi è stato di 350 bp (mai successo nella storia europea), non si è però chiesta per quale motivo dopo il forte aumento invece di scendere l’inflazione ha continuato a crescere.

E proprio da questa considerazione partono le incertezze dei mercati: se la BCE ha tutti gli strumenti a disposizione per raggiungere la stabilità dei prezzi (come ha più volte sostenuto la Lagarde) e questi continuano a risultare instabili, i casi sono tre: o gli strumenti a disposizione non funzionano, o non sono ancora stati usati, oppure sono stati usati male. A distanza di un anno dai primi aumenti, l’ipotesi dello sfasamento temporale degli effetti della politica monetaria non sta tanto in piedi.

Le previsioni di inflazione della BCE la collocano al 2,1% nel 2025, con una revisione al ribasso rispetto alle precedenti proiezioni formulate in dicembre. Ma probabilmente nemmeno alla BCE ci credono, visto che sottolineano che l’intervallo di confidenza attorno a queste previsioni è “insolitamente ampio”. Che detto in altri termini significa che potrebbe risultare decisamente più elevata.

Nonostante il calo dei prezzi dell’energia comporti un’attenuazione della principale determinante di inflazione, i prezzi dei beni (energetici e non) importati continuano a rimanere elevati (la deflazione non si vede) e in ulteriore crescita, minando alla radice la disinflazione in tutti i settori economici. Se la domanda aggregata aumentasse dagli attuali livelli compressi, si potrebbe anche osservare una sorta di scambio di ruoli tra le pressioni sui prezzi all’importazione e quelle sui prezzi interni, per cui le spinte sui prezzi resterebbero nel complesso elevate. E quindi difficilmente la dinamica inflattiva risulterebbe in attenuazione.

Detto questo, è chiaro che la politica monetaria deve essere orientata al futuro, dato lo sfasamento temporale che caratterizza la sua trasmissione e che la futura traiettoria dei tassi dipenderà dal riscontro o meno nelle previsioni di una convergenza durevole dell’inflazione verso l’obiettivo del 2% e da quanto questa viene ritenuta affidabile. La domanda è quali condizioni economiche ci saranno in Europa nel momento in cui l’obiettivo verrà raggiunto, soprattutto alla luce della costante flessione dei salari reali.

La domanda è strettamente correlata ad un’altra, ovvero dove si fermerà la stretta della BCE? Abbiamo provato a fare delle ipotesi.

  • La prima. I tassi si fermeranno al 4%, che è poi lo scenario che riteniamo probabile, perché rappresenta un buon compromesso tra la necessità di raffreddare la domanda, ancorare le aspettative d’inflazione a un livello basso ed essere cauti nel superare i rialzi dei tassi. Se questa stima fosse confermata, significherebbe che la BCE aumenterà i tassi di 50 bp altre due volte. Le aspettative di inflazione dei consumatori a lungo termine sono tuttavia da tempo stabili intorno al 3%. E questo gap è una delle maggiori preoccupazioni della BCE;
  • la seconda. I tassi si fermeranno al 6%, il che significa che l’inflazione del 2023 dell’Eurozona supererà mediamente il 6%. Quindi per combattere l’inflazione a lungo termine la politica della banca centrale dovrebbe diventare molto più restrittiva con i tassi di interesse di riferimento che dovrebbero essere più alti del tasso di inflazione.

L’ultima considerazione che vorremmo fare riguarda il positivo concerto delle banche centrali visto recentemente nella crisi del settore bancario USA e della Svizzera. La sfida dei prezzi va combattuta insieme. Sarebbe infatti difficile comprendere un’inflazione elevata solo nell’Area euro e stabilmente sotto il 2% nel resto del mondo, o viceversa. Le banche centrali devono muoversi insieme o non raggiungeranno mai l’obiettivo. E se il concerto non sarà rapido, i tassi d’interesse potrebbero continuare a salire, sia nell’Eurozona che a livello globale.

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