Bce, Lagarde: "A marzo alzeremo ancora i tassi di mezzo punto"


La Lagarde nel ricordare che nell’ultima riunione del 2 febbraio ha aumentato i tassi di interesse di riferimento di 50 bp, ha ribadito l’intenzione di aumentarli ulteriormente di ulteriori 50 bp nel prossimo meeting di marzo.


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PhillyFed di febbraio in uscita oggi (stima -7,2 punti contro -8,9 di gennaio), prezzi alla produzione USA MoM di gennaio (stima +0,4% contro -0,5% di dicembre) e richiesta dei sussidi settimanali USA alla disoccupazione (stima 200k contro 196k della scorsa settimana), tutti alle 14:30.

Ieri la produzione industriale dell’Europa MoM di dicembre è risultata peggiore delle attese (-1,1% contro -0,8% stimato e +1,4% di novembre), così come peggiore è risultata la produzione industriale USA MoM di gennaio, rimasta invariata rispetto a dicembre (stima +0,5% e -1% a dicembre).

Ieri al dibattito relativo alla plenaria del Parlamento Europeo, la Lagarde ha posto al centro del suo discorso l’inflazione e gli sforzi per contenerla. Nessuna novità dunque. Sostanzialmente la Lagarde nel ricordare che nell’ultima riunione del 2 febbraio ha aumentato i tassi di interesse di riferimento di 50 bp, ha ribadito l’intenzione di aumentarli ulteriormente di ulteriori 50 bp nel prossimo meeting di marzo. In seguito, alla luce delle pressioni inflazionistiche che non sembrano diminuire, la BCE valuterà il percorso della politica monetaria.

Del resto, non è che potesse dire qualcosa di diverso rispetto a quanto sostenuto solo due settimane fa, visto che il quadro macro economico generale dell’Europa non si è modificato in modo significativo. Anzi l’inflazione in Germania è pure aumentata.

Crescita dei prezzi che rimane dunque elevata e quindi non crediamo che la BCE diventerà colomba tanto a breve. Quello che tuttavia riteniamo sia più grave, è che i mercati possano pensare che la crescita dei prezzi sia fuori controllo e la BCE abbia strumenti limitati per guidare il sistema economico verso l’equilibrio monetario di lungo periodo.

In parte è vero. Infatti se ci pensiamo bene, la BCE non ha nessuna influenza per esempio sui livelli sulla produzione di energia idroelettrica in Italia (se non piove!), sui dibattiti sulla chiusura delle centrali elettriche o sui boicottaggi alle forniture della Russia. Da questo punto di vista la BCE è uno degli osservatori dell’inflazione, come lo siamo tutti. Sta facendo il minimo indispensabile per mantenere basse le aspettative di inflazione, che dipende in larga parte da eventi che non può controllare.

Insomma, dopo marzo l’incertezza continuerà a farla da padrona, a meno che nel prossimo meeting la Lagarde non dia informazioni precise sui successivi aumenti dei tassi (poco probabile). Per i mercati diventa quindi cruciale la risposta alla seguente domanda: dove andranno a finire i tassi di interesse nel 2023? Se negli USA il consensus di mercato si aggira nell’intorno del 5-5,25%, in Europa la situazione è decisamente più incerta.

L’aumento dei tassi potrebbe infatti fermarsi al 4%, livello che rappresenterebbe una sorta di compromesso tra la necessità di ridurre la corsa dei prezzi e portare il sistema economica verso un soft landing.

Ma più di un analista comincia ad ipotizzare che, in assenza di chiari segnali di riduzione della dinamica inflattiva, i tassi possano raggiungere livelli molto più elevati. Per combattere l’inflazione in modo significativo i tassi di interesse di riferimento dovrebbero essere per un periodo prolungato più alti del tasso di inflazione.

Ma questo condurrebbe probabilmente il sistema economico verso un hard landing. Usiamo il condizionale perché forse ancora una scappatoia è possibile.

Quello che vediamo è che probabilmente i governi europei stanno cadendo nello stesso errore di sostegno eccessivo all’economia fatto dall’amministrazione USA (sia Trump che Biden) e, per questa, alimentano l’inflazione.

Aumentando invece in modo significativo (bisogna capire se significativo vuol dire 6-7%) i tassi di interesse, la BCE renderebbe più costosi i finanziamenti tendendo a ridurli ma il sostegno statale e i gli aumenti salariali continuerebbero a garantire la stabilità dei consumi. L’elevato numero di posti di lavoro vacanti tenderà a diminuire soltanto quando ci saranno aspettative economiche positive. Fino ad allora, la tendenza al rialzo degli stipendi continuerà inesorabilmente, magari non nel 2023, ma sicuramente nel 2024.

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