BCE: nessuna variazione dei tassi. Che cosa dirà la Lagarde?


Oggi la BCE terrà la prima riunione dell’anno. Tognoli non si aspetta nessuna variazione dei tassi, ma la continuazione del “wait and see”.


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Indice IFO di gennaio in uscita oggi alle 10:00 (stima 86,7 punti contro 86,4 di dicembre). Alle 14:30 inizia la serie di dati USA: PIL del 4Q23 (stima 2% contro 4,9% del 3Q23), ordini di beni durevoli MoM di dicembre (stima 0,5% contro 5,4% di novembre), richiesta settimanale di sussidi alla disoccupazione (stima 199k contro 287k della scorsa settimana) e vendita di nuove case di dicembre (stima 650k contro 590k di novembre).

Ieri i diversi PMI di gennaio dell’Europa sono stati contrastati: il PMI servizi è risultato minore delle attese (48,4 punti contro 49 stimato e 48,8 di dicembre) così come minore è risultato PMI composito (47,9 punti contro 48 attese e 47,6 di dicembre). Il PMI manifatturiero è invece risultato migliore delle attese (46,6 punti contro 44,8 stimato e 44,4 di dicembre). PMI manifatturiero e PMI servizi USA di gennaio migliori del previsto (50,3 punti e 52,9 punti rispettivamente contro 47,9 punti e 51 punti di dicembre) e in crescita rispetto a dicembre (47,9 punti e 51,4 punti rispettivamente).

Ci siamo. Oggi la BCE terrà la prima riunione dell’anno. Non ci aspettiamo nessuna variazione dei tassi, ma la continuazione del “wait and see”. Diventa quindi importante capire la narrazione del suo presidente e in particolare se la strada sarà ancora quella che vede tassi in flessione a partire dal secondo semestre (vedi Davos), oppure se questa continuerà a dipendere dai dati.

Nel frattempo, nonostante le forti difficoltà economiche, la maggior parte dei paesi europei è riuscita ad evitare di entrare in recessione nel 2023 e cominciare il 2024 con prospettive per l’economia più positive, nonostante permangano alcune sfide importanti. Fra tutte, la dipendenza dalle importazioni di energia e la sicurezza geopolitica.

Sul fronte dell’inflazione è probabile che, dopo l’impennata di dicembre, questa continuerà a scendere nel corso del 2024. Le previsioni evidenziano che la crescita dei prezzi dell’Eurozona dovrebbe essere di circa il 3% quest’anno, scendendo ulteriormente a circa il 2% nel 2025. Allo stesso tempo, la disoccupazione in Europa è ai minimi storici e le previsioni non indicano grandi cambiamenti in questa tendenza nel prossimo anno.

La ripresa post-pandemica dell’Europa ha incontrato diversi ostacoli nel corso del 2022 e del 2023 (diversamente dagli Stati Uniti), poiché il continente è stato colpito da uno shock energetico e da una crisi di rifugiati all’inizio del 2022, accelerate dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina che, di fatto, ha messo a dura prova sia le finanze pubbliche che quelle dei consumatori. In combinazione con l’aumento dei tassi di interesse, ciò ha significato che la domanda aggregata in Europa è rimasta debole, schiacciando la crescita economica, rimasta di molto inferiore a quella degli USA.

Nel 2024 la situazione potrebbe tuttavia iniziare a cambiare, poiché il ritorno di una crescita positiva dei salari reali, la fine dell’inflazione e delle crisi energetiche e l’eccesso di risparmio che gli europei hanno accumulato negli ultimi anni (e che devono ancora spendere), potrebbero dare impulso alla domanda dei consumatori. Mentre all’interno dell’economia europea ci possono essere motivi di ottimismo, la situazione internazionale rimane tuttavia volatile con il potenziale di ricadute negative dei diversi conflitti regionali – un rischio chiave per i paesi fortemente dipendenti dalle esportazioni come la Germania.

La disinflazione in corso nella maggior parte delle principali economie europee, pur essendo un segnale generalmente positivo per l’economia europea, solleverà tuttavia nuove domande per le banche centrali nel 2024. La BCE si è mossa per alzare i tassi di interesse a livelli storicamente elevati negli ultimi due anni, con l’intento di rallentare il tasso di inflazione. Strategia che sembra aver funzionato finora, visto il calo dell’inflazione dai picchi massimi. La disinflazione significa che le banche centrali (BCE e Fed in testa) devono ora considerare se sarà necessario tagliare i tassi nel 2024 per evitare che le loro economie scendano al di sotto degli obiettivi di inflazione del 2%, con il rischio però che la crescita dei prezzi possa ripartire.

Lo scenario peggiore sarebbe che, a causa della trasmissione ritardata dell’effetto dei tassi di interesse più elevati, alcune economie possano entrare in recessione a causa del rallentamento della domanda aggregata. Se unita alla recessione l’inflazione da costi dovesse ripartire (p.e. per un aumento dei prezzi dell’energia), allora il sistema economico si troverebbe in stagflazione. Al momento tuttavia non si vedono i segnali.

Ovvio quindi che i banchieri centrali siano cauti nell’abbassare troppo presto i tassi di interesse, perché comunque permane il rischio di un’ulteriore accelerazione dell’inflazione. Pertanto, pur ritenendo che alla fine del 2024 i tassi di interesse ufficiali saranno più bassi rispetto alla fine del 2023 (prevediamo che il tasso sulle operazioni di rifinanziamento calerà dal 4,5% al ​​4,15%), ci aspettiamo che il ritmo delle diminuzioni dei tassi sarà probabilmente molto più lento della dinamica prevista dai mercati finanziari.

Non dobbiamo sottovalutare il fatto che nel 2024 gli shock politici potrebbero provenire non solo dall’estero ma dall’interno stesso dell’Unione. A giugno ci saranno infatti le elezioni per eleggere il Parlamento Europeo e, a quanto ci sembra di vedere oggi, una possibile ondata di euroscettici potrebbe gettare un’ombra sulla futura integrazione europea e sui piani per l’allargamento dell'Unione.

Inoltre, nel 2024 l’ambiziosa agenda verde dell’Unione e di molti paesi europei – il piano dell’UE affinché l’Europa diventi il ​​primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 – è chiamata ad affrontare le sue sfide più grandi. Già nel 2023 si sono avvertite scosse politiche in Germania, con le battaglie sulla legge governativa sul riscaldamento rispettosa del clima e nei Paesi Bassi, dove un partito agrario che si oppone al piano del paese di ridurre drasticamente le emissioni di azoto ha vinto le elezioni provinciali.

Mentre gli investimenti nelle tecnologie verdi, nelle infrastrutture per le energie rinnovabili e in altri aspetti della transizione verde devono aumentare di intensità per raggiungere l’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni al 55% dei livelli del 1990 entro il 2030, è probabile che le crescenti resistenze politiche rendano tutto più complicato.

Ci aspettiamo quindi un aumento della volatilità sui mercati.

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