BCE più veloce dei governi, ma il tempo gioca a favore dell’inflazione


I mercati si aspettano un rialzo dei tassi da parte della BCE di 75 bp, accompagnando i sistemi economici dei 27 paesi verso la recessione. Per Tognoli l’aumento potrebbe essere più contenuto se solo i governi si fossero accordati in modo chiaro e definitivo sul prezzo del gas, cosa che faticano a fare.


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PIL USA QoQ del 3Q22 (stima +2,1% contro -0,6% del 2Q22), ordini di beni durevoli USA di settembre (stima +5% contro -0,2% di agosto) e richiesta sussidi alla disoccupazione WoW (stima 223k contro 214k della scorsa settimana).

E’ la giornata della BCE, dove i mercati si aspettano un rialzo dei tassi di 75 bp. Negli ultimi due giorni le notizie di stampa rilevano come sia in atto una “moral suasion” dei governi europei verso la BCE affinché moderi il più possibile il rialzo dei tassi. La motivazione principale è che il continuo e repentino aumento accompagnerà i sistemi economici dei 27 paesi verso la recessione.

Per contro la BCE potrebbe obiettare che di fatto il rialzo dei tassi e quindi il pilotare l’Europa verso la recessione, è l’unica freccia che la banca centrale può scagliare per ridurre l’inflazione che, come noto, è per il 50% dovuta ad una crescita dei costi (energia in primis). L’aumento potrebbe essere più contenuto se solo i governi si fossero accordati in modo chiaro e definitivo sul prezzo del gas, cosa che faticano a fare. E’ un po’ il gatto che si morde la coda. E tra i due litiganti, l’inflazione gode.

Non so dire a chi spetti la prima mossa. Lato BCE infatti una politica più accomodante sui tassi aprirebbe la strada ad un insidioso e lungo rialzo dei prezzi che finirebbe per metter in moto la pericolosa spirale prezzi-salari (che sarebbe oltremodo rischiosa per i paesi con alto stock di debito pubblico). Lato politico invece, i tempi richiesti per un accordo definitivo, ma soprattutto per la sua messa in opera, sono molto più lunghi di quelli richiesti dai mercati. Il problema è che il tempo gioca a favore dell’inflazione, lasciandole il tempo di infiltrarsi in tutti i settori produttivi e dei servizi.

In altre parole, se l’inflazione dal 10% scende al 2% significa che, a parità di salari, il potere d’acquisto si è comunque ridotto del 12%. Cosa questo significhi in termini di consumi e investimenti è tutto da verificare: per mantenere invariati i consumi potrebbe infatti scendere il tasso di risparmio e/o ridurre lo stock di ricchezza.

Lo schema di accordo sul prezzo del gas uscito dal meeting del 21 ottobre scorso, non farà scendere i prezzi di beni e servizi (non ci sarà deflazione), ma ridurrà l’intensità della loro crescita. Anche al meeting dei ministri dell’energia di martedì scorso non c’è stato nessun accordo sul possibile tetto al prezzo del gas, creando di fatto più illusioni che certezze.

Intanto però i prezzi del gas sono scesi sotto la soglia psicologica dei 100 euro/MWh, facendo registrare un calo del 70% rispetto al picco di agosto, motivato da temperature tra i 4-8 gradi sopra la media stagionale. La domanda di gas è bassa e gli stoccaggi UE sono praticamente pieni (94% di riempimento a ieri). Al momento arriva più gas di quello che si può usare, come dimostra la coda di 35 navi GNL al largo del Mediterraneo in attesa di destinazione e un prezzo orario ieri negativo sul TTF olandese: c’era chi pagava pur di liberarsi del gas a disposizione. Non credo che durerà a lungo: il gas in consegna da dicembre in poi è infatti scambiato sopra i 140 euro/MWh. La domanda è se arriverà prima il freddo o un accordo tra gli Stati europei?

E’ una partita sicuramente complicata che però governi e BCE devono vincere, pena la disgregazione dell’euro così come lo conosciamo oggi.

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