Bce: tassi fermi e nervi tesi, la narrativa del mercato inizia a incrinarsi

18/12/2025 09:45
Bce: tassi fermi e nervi tesi, la narrativa del mercato inizia a incrinarsi

La decisione della Banca centrale europea sta per arrivare oggi alle 14:30 con un mercato ormai allineato su tassi invariati, ma la vera partita si gioca sul messaggio. Dopo un anno di tagli anticipati e una lunga fase di attesa, Francoforte deve chiarire se il 2% rappresenta solo una pausa o il nuovo baricentro della politica monetaria.

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Un anno di anticipo sulla Fed, il “Good Place” e il peso dei dati

Si apre oggi il sipario sulla decisione della Banca centrale europea (Bce), con aspettative ormai consolidate su una conferma dello status quo. Nella nota di Gabriel Debach, market analyst di eToro, la Bce non è chiamata solo a decidere sui tassi, ma a validare o meno la narrativa costruita nell’ultimo anno. Un periodo in cui Francoforte ha anticipato la Federal Reserve (Fed) nel ciclo di allentamento, ha tagliato prima e di più, per poi fermarsi mentre il mercato si interroga sulla direzione futura.

Nel giro di poco più di dodici mesi, il tasso sui depositi è sceso dal 4% al 2% attraverso otto tagli consecutivi da 25 punti base. Il cuore di questo ciclo si è concentrato nel primo semestre del 2025, con tre riduzioni ravvicinate tra marzo, aprile e giugno, giustificate da un processo disinflazionistico giudicato sempre più convincente. Come spiga Debach, è stata una mossa d’anticipo rispetto agli Stati Uniti, dove la Fed ha mantenuto i tassi inchiodati tra il 4,25% e il 4,50% per tutta la prima metà dell’anno, avviando i tagli solo a partire da settembre.

Mentre l’Eurozona aveva già quasi completato la propria discesa, Washington ha recuperato terreno con tre interventi tra settembre, ottobre e dicembre, per un totale di 75 punti base. Ne è nato un gioco di specchi rovesciato, con l’America a rincorrere un’Europa che, nel frattempo, aveva già deciso di fermarsi. Quella sosta, spiega Debach, è stata collocata da Christine Lagarde in quello che ha definito il suo “Good Place”, un punto di osservazione in cui la Bce ha scelto di restare per tutta la seconda metà dell’anno, confermando lo status quo nelle riunioni di luglio, settembre e ottobre.

Le proiezioni macroeconomiche dello staff hanno guidato questa navigazione. A giugno, le mappe del futuro erano ancora segnate da profonde incertezze legate ai dazi statunitensi, con scenari profondamente divergenti tra un sentiero “Mild”, che ipotizzava crescita all’1,2% e inflazione al 2,0%, e un percorso “Severe”, in cui un’escalation protezionistica avrebbe potuto comprimere il Pil allo 0,5% e spingere l’inflazione verso l’1,5% già nel 2026. La nebbia ha iniziato a diradarsi solo con le stime di settembre, quando Francoforte ha fissato per il 2025 un’inflazione media al 2,1% e una crescita all’1,2%.

I numeri definitivi pubblicati da Eurostat hanno centrato quasi perfettamente quel bersaglio. Novembre si è chiuso con un’inflazione headline al 2,1%, mentre la componente core è rimasta ferma al 2,4% per il terzo mese consecutivo. Anche il Pil del terzo trimestre, rivisto al rialzo allo 0,3%, ha mostrato una resilienza superiore alle attese, sostenuta da un rimbalzo degli investimenti fissi dello 0,9% che ha compensato la persistente debolezza tedesca, rimasta inchiodata a una crescita piatta. Questo quadro, sottolinea Debach, ha dato ossigeno alla Bce anche sul fronte salariale, con la crescita delle retribuzioni scesa al 3,0%, minimo dal 2022, riducendo il rischio di una spirale prezzi-salari.

Il nodo dei servizi e il futuro della politica monetaria

Nonostante il contesto appaia sotto controllo, per Debach restano elementi di frizione che impediscono di dichiarare chiusa l’emergenza. A preoccupare è l’inflazione dei servizi, salita al 3,5% a novembre rispetto al 3,2% ipotizzato nelle stime di settembre. Questa componente vischiosa offre ai falchi del Consiglio l’argomento per respingere qualsiasi ipotesi di nuovi tagli e trasforma la riunione di dicembre in un esercizio di lungimiranza più che di azione immediata.

Il mercato dà per scontato il quarto fermo consecutivo al 2%, ma l’attenzione si concentra sulle nuove proiezioni, che per la prima volta si estenderanno fino al 2028. Come spiega Debach, sarà decisivo capire se il target del 2% verrà presentato come un porto ormai sicuro o come una semplice tappa intermedia. Le recenti dichiarazioni di Isabel Schnabel, pronta a evocare persino un futuro rialzo qualora la spesa pubblica per difesa e infrastrutture dovesse riaccendere l’inflazione, iniziano a pesare sulle aspettative degli investitori, molti dei quali oggi considerano un aumento dei tassi più probabile di un nuovo taglio.

Tra le righe delle nuove proiezioni e il dibattito sulla futura successione di Luis de Guindos, Francoforte dovrà chiarire se la sosta al 2% è solo una ricarica di energia in attesa di nuovi dati o il nuovo centro di gravità attorno al quale far ruotare la politica monetaria nei prossimi anni. Nel primo caso, osserva Debach, ogni shock su crescita e commercio potrebbe riaprire rapidamente il capitolo dei tagli. Nel secondo, conclude Debach, qualsiasi segnale di riaccensione dei prezzi, a partire dai servizi e dalla spesa pubblica legata a difesa e transizione, rischia di trasformare l’idea di un rialzo da provocazione isolata a scenario che il mercato non può più permettersi di ignorare.

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