Big Tech, il covid-19 le trasforma in predatori

Una montagna di cassa, 560 miliardi di liquidità, quotazioni esplose in un mercato debole e il nuovo boom di internet legato ai lockdown. Il coronavirus trasforma le big tech nei nuovi squali del mercato. Alphabet, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft mettono nel mirino start-up e settori emergenti.
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Le grandi aziende tecnologiche
L’ultima in termini di apparizione è Cisco che va alla conquista della società software ThousandEye. Un acquisto la cui entità dovrebbe ammontare a circa 1 miliardo di dollari.
L’operazione si inserisce in un percorso di rinnovato slancio per le M&A del settore Big Tech. Secondo quanto riportato dal data provider Refinitiv in un report diffuso il 26 maggio, quest’anno Alphabet, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft hanno annunciato 19 operazioni di M&A: il ritmo più veloce dal 2015 a oggi.
Un cambio di rotta dopo il calo del 2019. Lo scorso anno le cinque Big Tech hanno speso complessivamente 7,2 miliardi di dollari in acquisizioni: circa la metà della spesa di ciascuno dei due anni precedenti, e ben al di sotto dei 29 miliardi di dollari del 2016.
Una stima delle prime operazioni del 2020 la forniscono Amazon e Facebook. Secondo quanto riportato dal Financial Times, l’impresa di Jeff Bezos sarebbe in trattative per l’acquisizione della società di auto a guida autonoma Zoox (valutata 3,2 miliardi di dollari). Facebook ha annunciato il suo «più grande investimento internazionale»: una partecipazione di 5,7 miliardi di dollari nell'operatore di telecomunicazioni indiano Reliance Jio.
La svolta delle Big tech dalle ceneri della Covid-19
La “rinascita” del mercato delle M&A nel settore tech sarebbe da imputare alla pandemia di Covid-19.
Il lockdown, con la conseguente richiesta di servizi web e mobile, ha contribuito all’esplosione della capitalizzazione dei giganti della tecnologia.
A maggio Apple, Amazon, Facebook vantavano una capitalizzazione complessiva di 3.266 miliardi di dollari. Superiore a quella dei principali listini di Milano, Parigi e Francoforte (circa 3mila miliardi).
E gli effetti pandemici sul lungo periodo, con il conseguente aumento della richiesta di servizi online, potrebbero rafforzare la posizione dominante di queste società rispetto alle concorrenti più piccole.
A caccia di start-up
Alla fine del primo trimestre 2020, le cinque Big Tech detenevano un patrimonio complessivo di 560 miliardi tra liquidità e titoli. L’immensa liquidità e la necessità di impiegarla al meglio le ha portate alla scelta razionalmente più valida di investirla laddove oltre a un ritorno solo finanziario, si possono generare anche sinergie industriali.
Da qui il boom dell’M&A che ha visto come prede società di piccole dimensioni, in particolare start-up, in settori come il gaming, il cloud computing o tecnologie legate alla condivisione dei dati.
Un percorso che ha riguardato anche i settori emergenti, come quello delle forniture alimentari e delle tecnologie per la mobilità. A maggio Uber ha acquisito il 16% (85 milioni di dollari) del servizio di noleggio scooter Lime. L’accordo, in questo caso, prevede la possibilità per Uber di acquisire Lime in due anni. Sempre il mese scorso Uber ha avviato l’acquisizione della piattaforma di food delivery Grubhub, ma il percorso, in questo caso, si sta rivelando accidentato.
Accordi e disaccordi (con l’Antitrust)
Se l’acquisizione di Grubhub da parte di Uber si dovesse concretizzare si creerebbe il più grande player nel mercato statunitense delle consegne di pasti. Si andrebbe così ad “alimentare” i timori di Washington circa la creazione di un monopolio nel settore.
Nei giorni successivi alla presentazione della domanda di fusione, le autorità legislative Usa hanno richiesto al Department of Justice (Doj) e alla Federal Trade Commission (Ftc) di monitorare l’operazione e di «avviare un’indagine se le parti raggiungono un accordo per la fusione».
Secondo fonti Bloomberg, le due società starebbero negoziando una reverse breakup fee dopo aver raggiunto un accordo sul prezzo di fusione. L’operazione è stata richiesta da Grubhub proprio per un eventuale stop imposto dalle autorità di vigilanza ma non sembra favorita da Uber, riluttante a concedere un pagamento in contanti “considerevole” a causa del prezzo di acquisizione che sta offrendo.
Non si tratta della prima operazione in cui la Ftc e il DoJ si mettono di traverso. Secondo il FT, l’Antitrust Usa avrebbe già avviato una revisione delle piccole acquisizioni effettuate dai cinque giganti della tecnologia a partire dal 2010.
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