Bond: rendimenti nominali saranno inferiori alla loro media storica


I rendimenti nominali dei bond rimarranno inferiori alla loro media storica, ma interessanti. Secondo Tognoli per chi va a caccia di rendimento, l’unica via per allontanarsi dallo zero reale è aumentare il rischio di portafoglio, aumentando il peso dell’equity.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Nessun dato importante per i mercati in uscita oggi. Lo scorso venerdì l’inflazione della Francia MoM di gennaio è risultata in linea con le attese e pari al +0,4%.

La montagna di denaro riversata sui mercati a seguito del Covid (secondo le nostre stime non meno di 35 trilioni di dollari) sarà gradualmente assorbita non prima dei prossimi 3-4 anni. Ecco uno dei principali motivi della resistenza alla discesa dell’inflazione.

E’ quindi lecito attendersi che, nonostante i rialzi, probabilmente i rendimenti nominali dei bond saranno inferiori alla loro media storica, ma comunque interessanti, mentre quelli reali si avvicineranno gradualmente allo zero, pur rimanendo negativi. Questo a meno di una accelerazione del tapering e/o ulteriori consistenti rialzi dei tassi, al momento non ipotizzabili.

Non sembra però che i risparmiatori ne siano pienamente consapevoli. Da un sondaggio internazionale risulta che gli intervistati si aspettano per il 2023 rendimenti reali del 4%-6% circa, mentre i consulenti hanno aspettative molto più conservative che si fermano intorno al 1%-2%.

Per chi va a caccia di rendimento, l’unica via per allontanarsi dallo zero reale è aumentare il rischio di portafoglio, aumentando il peso dell’equity. Da tenere presente che comunque vale sempre la costante di Siegel: le azioni sono l’investimento migliore nel lungo periodo (che poi è la strategia di investimenti di Buffett).

Considerato il perdurare dell’incertezza dello scenario macroeconomico prospettico che ha visto la FED aumentare i tassi di 25 bp nell’ultimo meeting di inizio febbraio, ma che potrebbe riportarne la crescita di marzo a 50bp e tenuto conto delle valutazioni raggiunte, nel breve periodo è comunque preferibile essere prudenti.

In un contesto inflazionistico e di correlazione per certi aspetti ancora positiva tra azioni e bond (che già di per se aumenta il rischio), occorre probabilmente ripensare la classica allocazione bilanciata 60-40, aumentando l’esposizione verso l’azionario ma diversificando in modo opportunistico gli investimenti, includendo asset reali e strategie più flessibili sui bond.

Alternativamente, è possibile ottenere rendimento e decorrelazione anche senza aumentare necessariamente l’esposizione verso l’azionario, evitando nel breve termine la competizione con gli indici e pianificando gli investimenti nel lungo termine con la classica diligenza del buon padre di famiglia.

In un periodo di forte volatilità siamo sempre più convinti che la ricerca di rendimento debba necessariamente guardare ad un orizzonte temporale di 4-5 anni. In quest’ottica riteniamo corretta la diversificazione di portafoglio che veda un opportuno mix geografico (i paesi emergenti per esempio continueranno ad emergere e potrebbero esprimere rendimenti nell’intorno del 10% l’anno in dollari) e un approccio bottom up, andando a privilegiare titoli con elevato e sostenibile dividend yield, che producono cassa e che hanno una redditività prospettiva superiore a quella media del proprio settore di riferimento.

Non esiste ovviamente un modo per raddoppiare in poco tempo il proprio denaro, magari senza rischio. Saremmo tutti ricchi se esistesse o semplicemente il denaro perderebbe il proprio valore.

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