Bufera su Credit Suisse: tra i clienti anche criminali e mafiosi

Un’inchiesta giornalistica ha rivelato l’esistenza di conti relativi a clienti con fondi di dubbia provenienza che venivano isolati dagli altri e gestiti da alti dirigenti.

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Le accuse

Credit Suisse ancora nell’occhio del ciclone dopo un’inchiesta giornalistica internazionale da cui sono emersi i nomi di alcuni clienti dell’istituto accusati di violare i diritti umani o sotto sanzioni internazionali.

L’inchiesta è stata condotta da oltre 160 giornalisti di 39 paesi, dopo che una fonte anonima interna della banca svizzera ha consegnato i dati relativi a 18 mila conti bancari alla testata tedesca Süddeutsche Zeitung, che a sua volta li ha condivisi con altre 47 testate giornalistiche di tutto il mondo, tra cui La Stampa per l’Italia.

Secondo quanto scrive il quotidiano torinese, Credit Suisse “malgrado gli scandali, ha continuato a fornire per anni i propri servizi a questi clienti nonostante le regole sulla tracciabilità dei fondi e la trasparenza delle attività che li hanno prodotti”.

L’ex dirigente di Credit Suisse, basato a Zurigo, ha accettato di parlare anonimamente con il team di giornalisti raccontando come la banca incoraggiasse i propri dipendenti a fornire servizi a clienti con fondi di dubbia provenienza.

Una volta acquisiti questi clienti, i relativi conti erano gestiti direttamente dalla direzione della banca, con i conti più ricchi (e più rischiosi) che venivano “isolati e gestiti dagli alti dirigenti”.

I clienti

L’inchiesta giornalistica internazionale, pubblicata ieri sotto il nome di ‘Suisse Secrets’ e relativa a conti che vanno dal 1940 al 2010, rivela come tra i clienti della banca svizzera ci fossero politici corrotti, sospetti criminali di guerra, trafficanti di esseri umani e uomini vicini alla ‘ndrangheta.

Le Monde racconta anche del caso di due presunti esponenti della mafia bulgara che avrebbero usato i conti aperti nell’istituto di credito per ripulire i proventi del traffico di cocaina.

I nomi più importanti citati dall’inchiesta riguardano i membri della famiglia dell’ex presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, il re Abdullah II di Giordania (sospettato di corruzione), i figli dell'ex capo di Stato egiziano Hosni Mubarak e l'ex viceministro dell'energia del Governo venezuelano di Chavez, Nervis Villalobos, finito al centro di inchieste per riciclaggio.

A questi nomi si aggiungono anche quelli di esponenti di spicco di altri Paesi, tra cui Azerbaijan, Zimbabwe, Ucraina e Serbia.

La difesa dell’istituto

Sulle indiscrezioni è intervenuta Credit Suisse, respingendo fermamente le accuse tramite una nota pubblicata ieri sul suo sito.

Dall’istituto svizzero definiscono quanto scritto dai giornali “questioni prevalentemente storiche”, in quanto risalenti agli anni ‘40”, oltre che a basarsi su “informazioni parziali, imprecise o selettive fuori contesto“, con conseguenti interpretazioni tendenziose della condotta aziendale della banca”.

Dalla banca, inoltre, confermano “che le azioni sono state intraprese in linea con le politiche e i requisiti normativi applicabili nei momenti rilevanti e che le questioni correlate sono già state affrontate”, pur sottolineando come non possa commentare “per legge” le relazioni con i potenziali clienti.

Infine, da Credit Suisse dichiarano che “circa il 90% dei conti analizzati è oggi chiuso o era in fase di chiusura prima di ricevere le richieste della stampa”, con oltre il 60% che è “stato chiuso prima del 2015”. “Dei restanti conti attivi”, concludono, “siamo convinti che un'adeguata due diligence, revisioni e altre misure relative al controllo sono state adottate in linea con il nostro attuale quadro. Continueremo ad analizzare le questioni e, se necessario, adotteremo ulteriori misure”.

Gli altri scandali

La bufera di queste ore arriva dopo diversi scandali che avevano colpito Credit Suisse. Nel 2021 l’istituto aveva registrato pesanti perdite nell’ambito del fallimento del fondo statunitense Archegos, a cui si aggiungevano perdite di clienti dopo il crollo della società di servizi finanziari Greensill.

Solo lo scorso dicembre, Credit Suisse aveva annunciato un cambio di nomi nel proprio executive board, cercando così di lasciarsi alle spalle l’anno terribile.

Dopo soli nove mesi nel ruolo di chairman, Antonio Horta-Osorio era stato costretto a lasciare, mentre dopo pochi giorni l’istituto aveva lanciato un allarme sugli utili.

Andamento in borsa e future operazioni

La notizia dell’inchiesta giornalistica attirava le vendite sul titolo Credit Suisse alla borsa di Zurigo, aprendo in calo di quasi il 2%, per poi recuperare parte delle perdite ma restando sotto la parità.

Nelle stesse ore in cui esplodeva lo scandalo Suisse Secrets, intanto, l’amministratore delegato Thomas Gottstein rilasciava un’intervista al quotidiano svizzero Finanz und Wirtschaft, il quale rilanciava la propria strategia “autonoma”, nonostante le insistenti voci di possibili operazioni di M&A con alcune banche, tra cui Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Dopo la perdita trimestrale di 2,2 miliardi di dollari e i costi di ristrutturazione e compensazione che peseranno ancora sul 2022, l’istituto sembra essere al centro delle ‘mire’ di diverse banche, ma Gottstein si è dichiarato convinto che la scelta di concentrarsi di più sulla gestione patrimoniale darà i suoi frutti “nel lungo periodo”.

Rispondendo ad una domanda su possibili operazioni future, secondo Gottstein la sottovalutazione attuale del valore della banca innesca “fantasie di un takeover non nuovo né sorprendente”, ma fino ad ora non è arrivata nessuna offerta.

“Prima di tutto, acquisire una banca che ha rilevanza sistemica non è facile e per di più Credit Suisse, con i suoi 165 anni di storia, ha molti punti di forza che risvegliano l'interesse dei rivali. Ma vogliamo giocarci quei punti di forza da soli, sul piano interno e quello internazionale”, concludeva Gottstein.

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