Japanification: una possibilità non così remota, né sconfortante


Gli Stati Uniti, e gran parte del mondo sviluppato, stanno seguendo l’esempio del Giappone, ovvero bassa crescita, tassi ridotti e deflazione? Questa domanda è stata posta con una certa regolarità, da quando i tassi di interesse hanno iniziato il loro inesorabile declino, una decina di anni fa.

A cura di Anne Vandenabeele, economista di Capital Group, si occupa di Stati Uniti e Giappone


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Una "Japanification" degli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti, e gran parte del mondo sviluppato, stanno seguendo l’esempio del Giappone, ovvero bassa crescita, tassi ridotti e deflazione? Questa domanda è stata posta con una certa regolarità, da quando i tassi di interesse hanno iniziato il loro inesorabile declino, una decina di anni fa.

Ora, alla luce della crisi economica globale causata dal COVID-19, l’intervento della banca centrale negli Stati Uniti e in Giappone è stato senza precedenti. Le misure di incentivazione fiscale hanno raggiunto livelli che non si vedevano dalla Seconda guerra mondiale, e la possibilità di una “Japanification” degli Stati Uniti e di altre economie sviluppate è più concreta che mai.

In passato, le argomentazioni contro l’eventualità che gli Stati Uniti avrebbero seguito il modello giapponese erano basate sul vantaggio di una popolazione molto più giovane, di un mercato del lavoro più flessibile e di un’economia dinamica, in grado di offrire alle piccole imprese un accesso molto più facile al credito. Ora, però, le analogie tra queste economie stanno iniziando a superare le differenze.

Una conseguenza indesiderata delle politiche anti-crisi

In risposta alla crisi attuale, gli stimoli massicci sono esattamente ciò di cui le economie hanno bisogno. Tuttavia, se mantenuti troppo a lungo, potrebbero causare un cambio di rotta del settore privato, favorendo la bassa crescita e la deflazione. Le banche, le imprese e le famiglie potrebbero decidere di ridurre le spese. In pratica, le politiche anti-crisi volte a evitare la “Japanification” potrebbero finire per portarci proprio in quella direzione.

  • Le banche centrali stanno già adottando politiche monetarie asimmetriche. Tendono ad allentare in modo aggressivo durante le crisi, ma non sfruttano i cicli finanziari e di re-leveraging. Queste misure di allentamento sono difficili da eliminare, dunque è probabile che tale tendenza prosegua e che la “trappola del debito” aumenti.
  • I tassi zero consentono al settore pubblico di far crescere il proprio bilancio per assorbire lo shock della domanda e le relative perdite. Al limite estremo si potrebbe arrivare all’unificazione della politica fiscale e monetaria e alla scomparsa dei mercati dei tassi, come sostenuto dalla Teoria Monetaria Moderna, o MMT. Probabilmente il Giappone è già sulla buona strada, con la Bank of Japan che detiene il 44% dei titoli di Stato giapponesi.
  • Anche la durata dell’allentamento e il suo ruolo nella creazione di aziende zombie sono importanti. Mentre per le aziende, soprattutto le piccole e medie imprese (PMI), è fondamentale potersi aggrappare a un’ancora di salvezza in breve tempo, i tassi bassi e le varie forme di allentamento prolungato potrebbero tenere in vita imprese che altrimenti sarebbero costrette a chiudere.
  • L’allentamento protratto può cambiare in modo permanente il comportamento del settore privato. Ad esempio, periodi prolungati di tassi bassi possono consentire ad aziende sull’orlo del fallimento di sopravvivere con finanziamenti di mercato a basso costo. Nel frattempo, la redditività delle banche risulterebbe indebolita, con minore creazione di credito (soprattutto per le PMI) e minore produttività. In uno scenario di tassi di interesse zero o negativi, anche le famiglie sarebbero incentivate a risparmiare di più, e tutto questo contribuirebbe a una mentalità deflazionistica.

Malgrado tassi di crescita iniziali più elevati, questa crisi e il prolungato allentamento che probabilmente ne deriverà potrebbero far progressivamente aumentare la somiglianza tra gli Stati Uniti e altri mercati sviluppati e il Giappone.

La “Japanification” potrebbe comportare dei vantaggi?

Per certi versi, assomigliare al Giappone potrebbe non essere poi tanto male. Indubbiamente, il Giappone potrebbe adottare politiche maggiormente basate sul mercato in molti settori e rendere più flessibili i mercati del lavoro, ma questo ha molti aspetti positivi. Il Giappone è ricco, il suo tasso di disoccupazione è tra i più bassi al mondo e gode di una disuguaglianza di reddito relativamente bassa.

C’è molto da ammirare anche nel settore aziendale giapponese. Rispetto alle controparti occidentali, può dare l’idea di essere più resiliente e generoso, e molte delle sue pratiche potrebbero suscitare l’interesse delle classi politiche, ad esempio:

  • Livelli di liquidità più elevati, che servono a migliorare la resilienza
  • Politiche più sostenibili in materia di dividendi e riacquisto
  • Il suo interesse per il capitalismo degli stakeholder, con focus sul principio Sanpō yoshi, o triplice soddisfazione di venditore, acquirente e società — in particolare i dipendenti
  • Sistemi di remunerazione più equamente distribuiti, con un divario retributivo significativamente minore tra i CEO e i dipendenti medi rispetto agli Stati Uniti e a molti altri Paesi sviluppati

Anche se è probabile che le società statunitensi oppongano resistenza a queste pratiche, la loro adozione potrebbe risultare popolare sul piano politico. I governi potrebbero attuarle direttamente, salvando le industrie, come abbiamo visto in una certa misura negli Stati Uniti, o nazionalizzandole, come è successo in alcuni casi in Francia. In alternativa, queste pratiche potrebbero essere adottate indirettamente, attraverso la regolamentazione.

L’entità dell’ulteriore intervento pubblico a cui è soggetto un Paese - sotto forma di spesa pubblica, ridistribuzione e regolamentazione - dovrebbe diventare più chiara a ogni elezione. Tuttavia, la bilancia sembra pendere verso la parziale attuazione dei principi MMT. La versione giapponese è basata sulle “tre frecce”, ovvero l’allentamento monetario, lo stimolo fiscale e una riforma strutturale più ortodossa. Questo approccio ha portato alla stabilizzazione di un onere del debito che il Giappone deve in gran parte a se stesso, poiché la banca centrale è il più grande singolo detentore di titoli di Stato giapponesi. Nel tempo, questo potrebbe portare a un miglioramento delle aspettative di crescita, a maggior fiducia e a una lieve reflazione.

Se, a differenza del Giappone, la spesa e la monetizzazione di un governo sono eccessive (ovvero superano la capacità produttiva di un Paese), nel lungo periodo si potrebbe arrivare a un’elevata crescita nominale e a una rapida inflazione. Oltre ai problemi interni, ciò potrebbe comportare problemi esterni per i Paesi la cui moneta non gode dello status di valuta di riserva o che non sono in grado di compensare i movimenti in valuta estera. Tra i mercati sviluppati, Regno Unito, Australia e Canada probabilmente sono quelli più a rischio.

Implicazioni per l’inflazione e gli utili aziendali

Se gli Stati Uniti e altri mercati sviluppati si muoveranno nella direzione della “Japanification”, gli investitori si dovranno aspettare uno scenario di tassi bassi prolungati, con il rendimento dei Treasury USA a 10 anni compreso tra lo 0% e l’1% per diversi anni. Le prospettive di inflazione sarebbero più incerte e maggiormente influenzate dall’entità della spesa e dell’intervento pubblico:

  • A breve termine – Il disallineamento tra la domanda e le politiche di produzione sulla scia del COVID-19 potrebbe accelerare l’inflazione dei beni.
  • A medio termine – Una ripresa lenta e tassi di interesse persistentemente bassi potrebbero creare pressioni deflazionistiche come nel modello giapponese.
  • A lungo termine – Una spesa pubblica rilevante e prolungata (a meno che non aumenti la produttività) potrebbe aumentare il rischio di una rapida inflazione, oltre al deprezzamento dei cambi per alcuni Paesi.

Performance del mercato globale

Azioni (MSCI in valuta locale normalizzato in base 100 all’01/01/2020)

Rendimento a 10 anni

È probabile anche che si verificherà una compressione dei multipli azionari:

  • Se si permette che persistano condizioni deflazionistiche simili a quelle giapponesi, i multipli dei prezzi e degli utili potrebbero assomigliare alle valutazioni azionarie giapponesi, comprese fra 13 e 15.
  • È più probabile che le politiche sopprimano il valore di asset rischiosi, come le azioni, piuttosto che erodere il loro valore a causa dell’inflazione.
  • Aspettatevi una maggiore dispersione dei multipli - quella del Giappone è doppia rispetto agli Stati Uniti - poiché le aziende a forte crescita dei settori meno regolamentati impongono un premio, non diversamente dalle aziende con potere oligopolistico di fissare i prezzi.

Metriche di valutazione azionario globale

Rapporto prezzo/utili (stimato a 12 mesi)

Dividend yield

Vale la pena investire in Giappone?

Anche in decenni di stagnazione il Giappone ha generato molte opportunità di investimento a lungo termine e probabilmente continuerà a offrire valore.

  • Nel lungo termine, a beneficiarne sono state aziende con un vantaggio comparativo, come processi di produzione di fascia alta, o aziende con un’offerta tecnologica unica in settori come i macchinari di precisione, le auto, i prodotti farmaceutici e chimici. Alcuni esempi sono i produttori di elettronica Keyence, Nidec e Tokyo Electron, i produttori di macchinari SMC e Murata nonché l’azienda chimica Shin-Etsu.
  • In mezzo ci sono gli esportatori e le aziende globali, poiché la crescita del Giappone è in ritardo rispetto a quella globale. Ne sono esempi le case automobilistiche Toyota, Honda e Suzuki, il produttore di attrezzature pesanti Komatsu e il produttore di attrezzature elettriche Daikin.
  • Vi sono state eccezioni al fenomeno globale, e alcune imprese nazionali hanno fatto meglio del mercato in virtù della discontinuità rispetto ai modelli di business esistenti, dell’acquisizione di un’ampia quota di mercato o della capacità di aumentare i profitti a un ritmo più veloce rispetto alla media del mercato. Tra questi si annoverano le società di beni di consumo di base Kao, Unicharm e Asahi Group e i rivenditori Nitori, Fast Retailing e Seven & i.
  • Nel lungo termine, a non riuscire a tenere il passo sono le aziende che operano in aree legate alle crisi del passato o alla compressione dei prezzi degli asset e dei rendimenti. L’edilizia, il ferro e l’acciaio e il settore immobiliare sono in una fase di declino di lungo periodo. Nel frattempo il settore finanziario - e soprattutto quello bancario - hanno registrato il calo maggiore nel lungo termine.

Questo non significa che le economie di altri Paesi seguiranno questo modello. L’economia e il mercato di ogni realtà nazionale hanno le proprie dinamiche. Gli Stati Uniti vantano una cultura molto più imprenditoriale, con l’ascesa di giganti della tecnologia che costituiscono quasi un quarto della capitalizzazione di mercato rappresentata dall’indice S&P 500 Composite.

Ma esistono anche aree sempre più fortemente regolamentate come il settore finanziario, le cui prospettive di redditività aziendale sono state notevolmente ridotte. Gli investitori devono aspettarsi una maggiore dispersione delle valutazioni aziendali e diffidare delle trappole del valore. La selezione bottom-up dei titoli basata sui fondamentali continuerà ad avere un ruolo cruciale in questo contesto.

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