Credit Suisse, si dimette il presidente di SNB
Il manager aveva negato la disponibilità della Saudi National Bank (SNB) ad intervenire nel caso di un'ulteriore richiesta di liquidità di CS, scatenando così una crisi per il gigante svizzero che però ha origini lontane.
Le dimissioni
Con una frase aveva provocato una crisi finanziaria mondiale costringendo le autorità svizzere ad intervenire, visto anche il contesto già reso difficile dalla situazione del settore bancario negli Stati Uniti.
Dopo giorni di preoccupazioni sui mercati di tutto il mondo, l’autore di quelle parole, il chairman di Saudi National Bank (SNB), Ammar Abdul Wahed Al Khudairy, alla fine si è dimesso, parlando di “motivi personali”.
La notizia è stata confermata da una nota della stessa banca azionista di Credit Suisse dopo le indiscrezioni delle ultime ore e al suo posto è stato nominato Saeed Mohammed Al Ghamdi, fino a questo momento amministratore delegato.
Nel corso di un’intervista rilasciata a Bloomberg Tv all’inizio di marzo, Al Khudairy aveva negato qualunque apertura di Saudi National Bank ad ulteriori investimenti nel caso in cui Credit Suisse avesse avuto bisogno di ulteriore liquidità.
Oltre a scatenare la crisi del settore bancario, conclusasi con l’acquisto dell’istituto da parte di UBS, gli azionisti di Credit Suisse hanno visto ridursi notevolmente il valore del loro investimento all’interno dell’operazione di acquisizione ‘carta contro carta’, anche se non sono stati azzerati al pari dei bondholders detentori degli At1.
La crisi di Credit Suisse
Le parole di Al Khydaury hanno rappresentato solo uno dei momenti rappresentativi di una crisi di Credit Suisse arrivata a seguito di scelte sbagliate e scandali.
Un’analisi di SWI Swissinfo riportata dal sito NuovoObserver ricostruisce come si è arrivati a questa situazione, perdendo sempre più credibilità, fino alla fusione con UBS.
Tra spiate ad un ex collaboratore, una condanna penale per aver permesso a trafficanti di droga di riciclare denaro, un caso di corruzione in Mozambico, la violazione del confinamento durante la pandemia, si sono aggiunte anche operazioni sbagliate.
Tra queste, l’operazione effettuate nelle società finanziarie Greensill Capital e Archegos Capital Management, entrambe collassate nel 2021 facendo perdere a Credit Suisse oltre 15,5 miliardi di dollari, oltre ad aver ignorato 100 segnali di pericolo inviati dall’autorità di vigilanza finanziaria elvetica prima di arrivare al crollo.
Sotto il mirino la dirigenza e secondo l’ex Ceo della stessa Credit Suisse, Oswald Grübel, il marcio è iniziato quando è stato rimpiazzato nel 2007 dal responsabile delle attività bancarie d’investimento, lo statunitense Brady Dougan, interessato soprattutto all’investment banking, poiché “è lì che si trovano i più grandi incentivi finanziari. Il private banking e il business incentrato sulla Svizzera non erano nelle sue priorità”.
Come conseguenza, tra il 2007 e il 2014, Dougan ha ricevuto oltre 160 milioni di franchi svizzeri come compensi, mentre la banca nello stesso periodo ha perso il 70% del suo valore in Borsa.
Se i successori di Dougan hanno cercato di comportarsi con maggiore prudenza, alle parole non sono seguiti i fatti, tanto che diversi tra i manager messi alla porta durante l’ultimo tracollo finanziario sono stati assunti dopo l’addio del dirigente statunitense. Altri, così, puntano il dito contro la gestione di Urs Rohner, presidente del consiglio di amministrazione di Credit Suisse tra il 2011 e il 2021.
In conclusione, le azioni sono crollate da 84 franchi del 2007 ai circa 3 di oggi, l’esodo della clientela ricca ha eroso la credibilità, nonostante una banca radicata nell’economia svizzera da essere definita ‘too big to fail’ (troppo grande per fallire) dall’autorità di vigilanza finanziaria.
La Finma indaga
Nel frattempo, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) sta valutando in che misura proprio il vertice di Credit Suisse possa essere chiamato a rispondere delle proprie azioni.
“Non siamo un'autorità penale, ma stiamo esaminando la situazione”, ha spiegato la presidente del consiglio di amministrazione di Finma, Marlene Amstad, nel corso di un’intervista al quotidiano zurighese ‘NZZ am Sonntag’. Tuttavia, i requisiti di capitale e liquidità per il nuovo colosso bancario UBS aumenteranno progressivamente, anche se, secondo Amstad, non è possibile “pretendere che ciò avvenga immediatamente, sono necessari alcuni periodi di transizione. Ma le esigenze aumenteranno”.
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