Crisi di fiducia sul Regno Unito: sterlina giù, boom dei rendimenti a lungo termine

La valuta britannica perde oltre l’1% e i rendimenti dei titoli di Stato a 30 anni toccano il 5,66%, riaccendendo i timori sui conti pubblici. Economisti e strategist avvertono: senza un bilancio d’autunno credibile, la soglia del 6% sui trentennali è ormai vicina.
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Pioggia di vendite sulla sterlina inglese
Si sa, Emmanuel Macron è permaloso e di sicuro non ha ancora smaltito la rabbia per il titolo del Wall Street Journal che due giorni fa ha bollato la Francia come “il grande malato d’Europa”. Potrà consolarlo vedere che nel mirino degli investitori Parigi non è sola? Stamattina una pioggia di vendite ha colpito la sterlina inglese e i titoli di Stato della Gran Bretagna. La valuta britannica ha perso oltre l’1% scendendo sotto 1,34 dollari, mentre il rendimento del Gilt trentennale (Gilt sono i titoli di Stato inglesi) ha toccato area 5,66%, il livello più alto dal 1998. Una dinamica doppia – bond in calo e sterlina debole – che segnala un deficit di fiducia degli investitori verso i conti pubblici del Regno Unito alla vigilia della manovra d’autunno.
Da noi si dice “mal comune mezzo gaudio”, ma è uno dei detti più stupidi che ci sia. Purtroppo è molto più azzeccato il modo di dire spagnolo “Mal de muchos, consuelo de tontos”, ovvero, consolazione degli sciocchi.
Rendimenti in salita in tutta Europa
Il movimento sui mercati non è isolato: in Europa i rendimenti lunghi avanzano compatti. Il titolo di Stato francese a 30 anni ha superato 4,50% per la prima volta dal 2011, mentre quelli di Germania, Italia e Spagna hanno visto rialzi oltre i 5-6 punti base sulle scadenze ultra‐lunghe. Ma Londra fa storia a sé: la salita dei Gilt è più rapida e si confronta con un precedente ingombrante, la crisi del mini‐budget del 2022, quando il 30 anni sfiorò il 4,70%. Oggi siamo ben oltre.
Nei conti pubblici un “buco” da 51 miliardi di sterline
Al centro c’è la sostenibilità fiscale. Rachel Reeves, la Cancelliera dello Scacchiere (così si chiama a Londra il ministro delle Finanze) deve colmare un “buco” stimato fino a 51 miliardi di sterline, con margini stretti imposti da regole di bilancio “di ferro”. Gli investitori chiedono misure credibili: rialzi di imposte sono ritenuti inevitabili, ma il rischio è che diventino controproducenti per crescita e inflazione se mal calibrati. Come avverte Mohit Kumar (economista di Jefferies), l’asticella politica è altissima; interventi cosmetici “calciando il barattolo più avanti” non basteranno a rassicurare il mercato.
Il giudizio degli asset manager è diviso. David Zahn (Franklin Templeton) vede il 30 anni britannico oltre il 6% entro fine anno se la manovra non affronterà davvero la spesa pubblica: “Serve un taglio più radicale dei costi e un più ampio aumento delle entrate, altrimenti i rendimenti continueranno a salire”. Dall’altro lato, gli strategist di UBS considerano i timori “eccessivi”: il tratto corto della curva appare “a sconto” perché la BoE (Bank of England) potrebbe tagliare più di quanto oggi prezzato; sul lungo, dicono, il mercato sta scontando in anticipo che eventuali aumenti di tasse saranno “insufficienti o inflazionistici”, ipotesi giudicata severa.
Tra BoE e “bond vigilantes”
Il 18 settembre la Bank of England tornerà a riunirsi, il giorno dopo la Fed. Le attese su un taglio dei tassi nell’immediato si sono raffreddate, ma il messaggio sulla traiettoria dei tassi e sul quantitative tightening sarà cruciale. Ludovic Subran (economista di Allianz) avverte che l’impennata dei rendimenti crea “un muro” davanti alla BoE, costringendola a comunicare una pausa lunga nel ciclo di allentamento e a invocare chiarezza fiscale da parte del Tesoro. “È tornata la stagione dei bond vigilantes”, osserva Subran, sottolineando quanto il mercato stia finalmente prezzando l’inflazione nei gilt più lunghi.
A complicare il quadro c’è anche la stagionalità: settembre è storicamente il mese peggiore per i titoli governativi con scadenze oltre 10 anni. Jim Reid (Deutsche Bank) parla di un “circolo vizioso” che, anche in mercati ordinati, può auto‐alimentarsi: più salgono i rendimenti per i dubbi sul debito, peggiori diventano le dinamiche fiscali, e ancora i rendimenti salgono.
Flussi, tecnica e confronto globale
Sul fronte dei flussi, Vanguard segnala acquisti sui Gilt approfittando della repricing e della relativa convenienza rispetto a Francia e Germania, dove pure i rischi fiscali e politici sono aumentati. Intanto, Londra ha collocato via sindacato un record di 14 miliardi di sterline sul decennale, con una domanda di oltre 140 miliardi: un dato che testimonia la profondità del mercato ma che, nel breve, aggiunge offerta in un momento sensibile.
L’azionario riflette il quadro: il FTSE 100 scende in linea con l’Europa e arretrano anche le azioni di utility e consumer staples (i cosiddetti bond proxy), penalizzati da rendimenti più alti che ne erodono l’appeal relativo.
Lo sfondo europeo: inflazione e BCE
Intanto è uscito il dato sull’inflazione dell’area euro, risalita al 2,1% a/a in agosto (core 2,3%), un dato che rafforza l’idea di una BCE che non muoverà i tassi nella prossima riunione dell’11 settembre. La divergenza monetaria con la BoE non si è ampliata, ma il confronto mette in risalto l’anomalia britannica: con l’OAT trentennale vicino 4,5% e il Treasury 30 anni sotto 5%, la curva UK appare più “tesa” proprio sul lungo, dove pesano gli interrogativi di bilancio.
Cosa guardare adesso
Per gli investitori l’appuntamento è con la manovra d’autunno del governo britannico: più sarà credibile e mirata (tagli selettivi alla spesa, riforme pro‐crescita, eventuali imposte ben congegnate), minore sarà la pressione sui titoli di Stato.
Nel breve, la combinazione sterlina debole + rendimenti lunghi in salita resta un semaforo giallo lampeggiante per il Regno Unito. Per spegnerlo, a Reeves serviranno numeri solidi e una narrazione coerente: senza di essa, il rischio è che la soglia psicologica del 6% sul trentennale smetta di essere solo uno spauracchio e diventi un punto di passaggio.
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