Dal timore della recessione a quello della troppo crescita


Fino a ieri gli investitori discutevano sulla profondità e lunghezza della recessione. Oggi, viceversa sembrano invece valutare il rischio che tassi di crescita del PIL superiori a quello potenziale di equilibrio possano portare ad un surriscaldamento dell’economia, facendo riprendere slancio all’inflazione e vanificando per questa via gli sforzi fatti fino ad ora.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Ordini di beni durevoli USA MoM di novembre (stima -0,6% contro 1% di ottobre), vendita nuove case MoM di novembre (stima 600k contro 632k di ottobre) in uscita alle 14:30 e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di dicembre (stima 59,1 punti contro 56,8 di novembre).

Ieri a sorpresa, la terza lettura del PIL USA del 3Q22 annualizzato è risultata decisamente più elevata delle precedenti: 3,2% contro 2,9% atteso. Anche i consumi personali sono cresciuti di più rispetto alle attese e alla seconda lettura: 2,4% contro 1,7% di entrambe.

I mercati hanno reagito in modo negativo, preoccupati che Powell possa cambiare idea sull’intensità dei prossimi aumenti. Cosa che potrebbe anche fare, visto che nonostante l’orientamento meno falco delle ultime dichiarazioni, Powell ha sempre detto che le decisioni di politica monetaria avrebbero comunque fatto riferimento ai dati. E, come abbiamo visto, questi non indicano sicuramente un raffreddamento economico.

L’incertezza del mercato deriva dalle seguenti considerazioni: l’ultimo dato di inflazione indica una riduzione della sua spinta propulsiva che se dovesse continuare non giustificherebbe un aumento superiore a quei 50 bp attesi dal mercato. Oppure, PIL e consumi che non accennano a diminuire reggerebbero anche un aumento di ulteriori 75 bp.

Fino a ieri gli investitori discutevano sulla profondità e lunghezza della recessione. Oggi, viceversa sembrano invece valutare il rischio che tassi di crescita del PIL superiori a quello potenziale di equilibrio (2,3%-2,5% circa) possano portare ad un surriscaldamento dell’economia, facendo riprendere slancio all’inflazione e vanificando per questa via gli sforzi fatti fino ad ora.

Ci sono, come si capisce immediatamente, ragioni per sostenere entrambe le versioni. Crediamo che l’elemento discriminante sarà il dato relativo alla disoccupazione di dicembre che sarà resa nota il prossimo 6 gennaio: le previsioni indicano un rialzo al 3,8% dal 3,7% di dicembre. Rialzi pari o superiori alle attese farebbero probabilmente propendere i membri della FED per un rialzo di 50 bp, mentre una stabilità al 3,7% o peggio una riduzione della disoccupazione farebbe propendere Powell per un ulteriore rialzo di 75 bp.

Facciamo un po’ di ordine. La crescita più alta del PIL del 3Q22 non ci fa cambiare idea sulla possibilità che nel 2023 l’economia USA scivoli verso una recessione. Casomai, la forza dimostrata dall’economia ci porta ad aumentare le probabilità che la fase recessiva sia meno profonda e più corta di quanto si potesse prevedere un mese fa. Ma credo che ci siano pochi dubbi sul fatto che l’economia USA nel 2023 vedrà un segno meno.

Detto questo, riteniamo improbabile che la FED diventi accomodante davanti ad una flessione contenuta dell'inflazione. Per mantenere l’aggiustamento della crescita economica al di sotto del suo potenziale e bilanciare il mercato del lavoro, Goldman Sachs prevede per esempio altri 125 punti base di rialzo dei tassi, che raggiungeranno un picco del 5-5,25% (livello leggermente superiore a quello previsto dal mercato). Gran parte degli economisti non prevedono inoltre un taglio dei tassi prima del secondo trimestre del 2024.

Da un punto di vista rendimento/rischio, rimaniamo convinti che occorra privilegiare i titoli di quelle società resilienti all’inflazione, ovvero quelle in grado di traslare sui ricavi i maggiori costi, producano cassa, siano leader nel proprio settore di riferimento e abbiamo una redditività mediamente superiore e sostenibile rispetto ai comparables.

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