Dalla Fed alla Cina passando dal Downgrade della Francia

Settimana intensa con tagli dei tassi da parte della Fed, effetti del taglio dei tassi da parte della BCE. Focus su dati PMI globali, impatti del downgrade francese, crisi immobiliare cinese e tensioni commerciali USA-Cina.

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Dati macro Usa

Gli Stati Uniti si preparano a un nuovo taglio dei tassi, ma non sono gli unici. La scorsa settimana ha visto la BCE e la Banca Centrale Svizzera intervenire, quest’ultima con un significativo taglio di 50 basis point. Nei prossimi giorni, l’attenzione si sposterà sulle decisioni di politica monetaria del Regno Unito e del Giappone.

Ecco un grafico che mostra l'andamento del PMI. Tra le quattro linee presenti, spicca quella bianca, che rappresenta gli Stati Uniti: in netta crescita, si avvicina alla soglia dei 50 punti, attestandosi a 49,7. Ricordiamo che un valore del PMI superiore ai 50 punti indica espansione economica, mentre al di sotto segnala un probabile rallentamento. Il Giappone, rappresentato dalla linea viola, si posiziona a 49 punti, mentre l'Europa, indicata dalla linea rossa, è ferma a 45,2 punti, ben lontana dalla soglia di espansione.

Il grafico sottostante confronta diversi dati macroeconomici americani con le attese, evidenziando se hanno sorpreso positivamente o meno. In particolare, il riquadro azzurro mette in luce il settore retail e wholesale, che da giugno continua a sorprendere in positivo. Questo dato riflette l'andamento robusto dei consumi americani, che rappresentano circa i due terzi del PIL degli Stati Uniti.

Guardiamo le attese sui tagli dei tassi. Non è tanto importante cosa farà la Fed il 18 dicembre (le attese sono per un taglio di 25 basis point, già scontato al 96%), ma cosa farà nel prossimo anno. Le aspettative sono cambiate: da sei tagli previsti si è scesi a tre, con tassi che dovrebbero chiudere il 2025 al 3,75%, un punto sopra quanto ci si aspettava qualche tempo fa.

Questa è una settimana importante anche per le scadenze delle opzioni: le "quattro streghe". Non sono più solo tre (opzioni su indici, futures e futures su azioni), ma si è aggiunta la quarta, relativa alle opzioni su azioni. Questo potrebbe creare lievi turbolenze, ma dicembre è storicamente un mese positivo per le borse. Si dice che i grandi fondi osservino le performance annuali su cui calcolano le loro fee.

Europa: gli effetti dei tagli delle BCE

Passiamo al mondo dei bond. Non è il mercato azionario a dare ritmo ai mercati, bensì quello obbligazionario. Questo perché è uno dei mercati più pesanti, con gran parte degli investimenti concentrati su di esso, data la minore rischiosità rispetto all'azionario.

Lagarde ha seguito una linea prudente: ha tagliato i tassi, ma meno di quanto alcuni commentatori si aspettassero. Ha promesso ulteriori tagli, ma non subito, bilanciando Forward Guidance e data dependency. L'economia dell'eurozona tentenna, e alcuni speravano in tagli più rapidi per affrontare eventuali tariffe statunitensi.

Lagarde non ha escluso del tutto un orientamento verso la Forward Guidance. Ha invece optato per un approccio misto, dichiarando che si continuerà a monitorare sia i dati che l’andamento generale dell’economia. Questo rappresenta un passaggio più graduale ma obbligato per una banca centrale, che ormai guida le aspettative dei mercati. Ha ribadito che l’obiettivo primario resta la lotta all'inflazione, nonostante questa sia già in calo.

Secondo Lagarde, tutto questo timore potrebbe essere esagerato. Molti si chiedono cosa succederà se la BCE terminerà i programmi APP e PEPP, attraverso i quali acquista mensilmente 40 miliardi di titoli di Stato. Se abbiamo già osservato qualche instabilità, è possibile che si verifichino ulteriori vuoti d'aria nel breve termine, ma non credo che ciò porti a una turbolenza di lungo periodo.

Tuttavia, l’intensificazione delle preoccupazioni recenti è stata innescata dal downgrade del debito francese da parte di Moody’s durante il weekend.

Moody's declassa la Francia

Moody's, durante il weekend, ha declassato il debito francese a AA3. Come dobbiamo considerare questo livello? Analizziamo alcuni dati per comprenderne le implicazioni. Secondo Moody's, il disavanzo della Francia sarà al 6,3% nel 2025, per poi scendere al 5,2% nel 2027. Il rapporto debito/PIL, attualmente al 113% (2023), è previsto in crescita fino al 120% entro il 2027. Per confronto, gli Stati Uniti si attestano al 130%, mentre l'Italia supera tale soglia.

Un altro elemento critico è il rapporto tra gli oneri finanziari sul debito e le entrate. Nel 2025, questo rapporto è stimato al 4,9%, per salire al 5% nel 2027. Per contestualizzare, l'Italia presenta valori peggiori, il che pone la Francia in una posizione relativamente più stabile: l’Italia si trova 6 classi al di sotto della Francia. Il declassamento da parte di Moody's è stato giustificato anche da una percepita instabilità politica. Nonostante ciò, l'agenzia riconosce che l'economia francese rimane tra le più solide e diversificata, classificandola come la settima più grande a livello globale. A differenza della Germania, che è maggiormente concentrata su settori specifici, la Francia gode di una base economica più ampia.

Dal punto di vista politico, Moody's osserva instabilità a breve termine, ma non rileva rischi significativi nel lungo periodo. Inoltre, evidenzia la solidità delle istituzioni francesi, considerate competenti, un fattore che sostiene il mantenimento di un rating relativamente elevato. Tra i punti di forza si sottolineano anche i vantaggi demografici: la Francia è uno dei pochi paesi al mondo con politiche attive per stimolare la crescita demografica, come incentivi alla natalità e supporto alle famiglie (es. sussidi per babysitter o aiuti per l’infanzia). Queste politiche stanno producendo risultati concreti, in contrasto con il calo demografico che affligge gran parte dell'Europa.

In sintesi, non vediamo una crisi di lungo periodo nel mercato obbligazionario francese. Qualche turbolenza nel breve termine è possibile, ma non ci sono segnali di una tempesta strutturale.

Cina: il report di Goldman Sachs

Il report di Goldman Sachs sulla Cina intitolato "La politica di stimoli economici cinesi è sufficiente?". La risposta, anticipata subito, è no: non sono sufficienti. Ma l'aspetto più interessante del report riguarda l'analisi degli effetti delle tariffe imposte dagli Stati Uniti sull'economia cinese.

Gli interventi economici cinesi dovrebbero affrontare diverse sfide: la crisi immobiliare, il rilancio della domanda interna e la gestione delle tensioni commerciali. Questi fattori avranno inevitabilmente un impatto sul mercato globale.

Tre esperti, David Li (Università di Tsinghua), Michael Pettis (Università di Pechino) e Hui Shan (capo economista di Goldman Sachs), offrono opinioni diverse:

  1. L'impatto sui dazi e gli investimenti Hui Shan ritiene che i potenziali dazi statunitensi colpiranno soprattutto gli investimenti, provocandone un calo significativo. Data l'importanza degli investimenti nella crescita del PIL cinese, ciò rappresenta una criticità.
  2. Un'opportunità nascosta: Davide Lee ipotizza che i dazi, sebbene problematici, potrebbero avere un impatto positivo nel medio termine, spingendo la Cina a riforme strutturali. Ad esempio, sul mercato dei chip, la Cina potrebbe sviluppare capacità produttive interne per rispondere alle difficoltà di esportazione. Questo processo potrebbe persino rafforzare l'economia nel medio termine, trasformando una crisi in un'opportunità.
  3. Conflitto industriale: Michael Pettis prevede un possibile conflitto su larga scala. Se sia la Cina, con il suo eccesso di capacità produttiva, sia gli Stati Uniti, tramite il reshoring, continueranno a produrre a ritmi elevati, il mercato globale potrebbe essere inondato di beni, con conseguenti tensioni commerciali e industriali.

Il report affronta anche la questione del debito pubblico cinese, che ha superato il 300% del PIL nel 2024. Gli stimoli fiscali sono considerati importanti per evitare un peggioramento della situazione. Tuttavia, secondo Pettis, i problemi di debito sono strutturali e richiedono correzioni dolorose ma necessarie.

Un elemento interessante è il ruolo del debito municipale: gran parte di esso sarà garantita dal governo centrale, un intervento che potrebbe alleviare la pressione sulle autorità locali. Il debito cinese, inoltre, è prevalentemente interno, il che riduce il rischio di instabilità legata a creditori esteri.

Nonostante la forte espansione del debito, la Cina continua a crescere a un ritmo del 5%, il che rende il debito più sostenibile rispetto a paesi con economie stagnanti. Inoltre, il debito cinese è prevalentemente interno, il che significa che la Cina non dipende da creditori esteri che potrebbero interrompere i finanziamenti e mettere a rischio la sua crescita economica. D’altra parte, una parte del debito è rappresentata da credito ombra, che presenta minori vincoli di regolamentazione e non grava necessariamente sullo Stato.

Un altro punto di forza della Cina è rappresentato dalle sue significative riserve in valuta estera, che forniscono un cuscinetto importante. Inoltre, il sistema bancario ha già subito riforme e interventi da parte del governo, che ha sostenuto molte banche in difficoltà negli ultimi anni.

Pechino dispone di riserve in valuta estera significative e ha già adottato misure per stabilizzare il sistema bancario.

Se la Cina continua a crescere a un ritmo del 5%, un debito così elevato può essere considerato sostenibile. Tuttavia, come avverte Pettis, il problema si presenta nel caso in cui la crescita economica dovesse rallentare drasticamente: in quel caso, il debito rischierebbe di trasformarsi in una crisi sistemica.

Pertanto, la sostenibilità del debito dipende da diversi fattori, tra cui la stabilizzazione del settore immobiliare, l'adozione di politiche industriali efficaci e il passaggio a un'economia a maggiore valore aggiunto. Se queste condizioni saranno soddisfatte, il debito potrebbe rimanere gestibile, come sembra ipotizzare il mercato.

Guardando ai dati sulla crescita economica, un grafico del report (in alto a sinistra) mostra come il PIL cinese, che in passato raggiungeva tassi vicini al 10%, si sia ridotto a livelli inferiori al 5%.

Il grafico a destra analizza i contributi alla crescita del PIL: il principale motore è l’export, seguito dagli investimenti, mentre i consumi interni hanno un peso molto inferiore, inferiore al 30%. In confronto, negli Stati Uniti, i consumi rappresentano i due terzi del PIL. La dipendenza della Cina dalle esportazioni la rende vulnerabile a fattori esterni, come i dazi statunitensi o europei, che stanno già impattando su settori chiave come quello automobilistico.

Inoltre, la fiducia dei consumatori rimane su livelli molto bassi, come evidenziato dal grafico sottostante. Questo riflette le difficoltà del paese nel passare a un modello economico trainato dalla domanda interna, un aspetto che sarà cruciale per garantire una crescita sostenibile nel lungo periodo.

In ultimo sotto troviamo un grafico che mostra l’andamento dell’inflazione e dei prezzi alla produzione. Il dato che colpisce maggiormente è quello sugli interessi medi dei governi locali: 23,6%, un livello estremamente elevato e preoccupante.

Passando alla demografia, mentre la Francia gode di una dinamica positiva, il caso della Cina è molto diverso. Il paese ha già raggiunto il picco demografico e si prevede un calo drastico entro il 2100, quando la popolazione potrebbe essere meno della metà di quella attuale.

Infine, il report analizza anche le guerre commerciali tra Cina e Stati Uniti, evidenziando tutte le tappe principali. È interessante notare che i dazi americani hanno contribuito a un incremento dell'inflazione negli Stati Uniti di circa l’1%. Se la Cina dovesse rispondere con contromisure, come ha fatto in passato, l'impatto complessivo potrebbe portare a un ulteriore aumento dell'inflazione di circa il 3%. Storicamente, la Cina ha sempre reagito alle misure protezionistiche statunitensi.

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