Dati economici USA non indicano una recessione, e i consumi si mantengono forti


Pur con due trimestri in recessione, i consumi Usa continuano a rappresentare il vero motore dell’economia USA. Questi sono stati in gran parte sostenuti e sovvenzionati sia dalla forte liquidità creata dalla FED sia dai sostegni governativi al reddito, entrambi con lo scopo di contrastare la debolezza economica a seguito della pandemia.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso CFO Sim


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Prezzi alla produzione dell’Europa YoY di ottobre in uscita oggi alle 11:00 (stima +31,5% contro +41,9% di settembre), variazione occupati USA di novembre (stima 200k contro 261k di settembre) e tasso di disoccupazione di novembre (stima 3,7% invariato rispetto ad ottobre) entrambi alle 14:30.

Vendite al dettaglio YoY di ottobre della Germania più basse delle attese (-5% contro -2,8% stimato e -0,9% di settembre), PMI manifatturiero di novembre dell’Europa più basso delle attese (47,1 punti contro 47,3 di ottobre), ma leggermente meglio il tasso di disoccupazione di ottobre che migliora al 6,5% (dal 6,6% di settembre). Tutti i dati testimoniano il rallentamento economico voluto (?) dalla BCE per contrastare l’inflazione.

Non crediamo tuttavia che siano sufficienti per suggerire alla Lagarde un atteggiamento meno falco. Siamo quindi convinti che il 15 dicembre prossimo la BCE alzerà i tassi di 75 bp.

Le richieste WoW USA dei sussidi alla disoccupazione sono risultate minori delle attese (225k contro 235k attese), con una crescita MoM dei redditi personali di ottobre quasi doppia rispetto alla stima e al dato di settembre: 0,7% contro 0,4% atteso. Segnali che dimostrano come l’economia non mostri (ancora) segni di sofferenza per il rialzo dei tassi di interesse. Sostanzialmente in linea con le attese il PMI manifatturiero. Vedremo nel pomeriggio se anche il tasso di disoccupazione si è mantenuto stabile, oppure ha segnalato un peggioramento.

Pur con due trimestri in recessione, i consumi continuano a rappresentare il vero motore dell’economia USA. Questi sono stati in gran parte sostenuti e sovvenzionati sia dalla forte liquidità creata dalla FED sia dai sostegni governativi al reddito, entrambi con lo scopo di contrastare la debolezza economica a seguito della pandemia.

Vero è che occorreva un supporto alla debolezza economica indotta dalla pandemia, ma probabilmente siamo oggi in grado di dire che la “droga” al sistema è stato eccessiva, con il risultato che lo stesso sembra non sembra aver imparato nulla dalla crisi dei subprime del 2008. Il meccanismo è infatti lo stesso che ha causato quella crisi: debito per finanziare la domanda. E’ solo cambiato il beneficiario che dal settore real estate sono diventati i consumi interni, cresciuti dal 65% del PIL del 2020 al 75% del 2021. Considerato che il 20% della domanda per consumi dipende unicamente dal debito e non dalla crescita dei redditi, se ne deduce che il 15% circa del PIL USA dipende dal credito al consumo. Alla fine del 2019 nel complesso i consumi USA rappresentavano il 18% del PIL mondiale (17% la Cina e 6% la Germania).

Il problema principale di questo modello di sviluppo economico basato sul debito che finanzia la domanda è che non può permettersi il deleverage, considerato che la crescita è supportata in larga parte dal debito e non dalla crescita del reddito conseguente a quella della produttività. Quindi, per mantenere l’equilibrio ed alimentare la crescita del PIL è necessario continuare ad aumentare il debito.

Si capisce immediatamente che il sistema regge se i tassi sono prossimi allo zero e il tasso reale rimane a lungo negativo, ma quanto i tassi nominali crescono e il tasso reale tende a diventare positivo (oggi è ancora negativo), il sistema fatica a mantenere l’equilibrio.

E quando va in crisi, l’unico meccanismo di intervento sono i salvataggi a carico del bilancio pubblico, mentre la banca centrale è costretta ad intervenire con politiche monetarie ultra accomodanti per impedire il deleverage che il sistema non potrebbe reggere.

Se il sistema basato sul debito, richiede politiche monetarie costantemente espansive (che può voler anche dire aumentare i tassi nominali, se quelli reali rimangono negativi), significa che la banca centrale perde lentamente la propria indipendenza. Nessuna banca centrale in questa situazione è infatti in grado di ridurre il bilancio e/o portare i tassi reali in territorio positivo (come sarebbe necessario), pena una lunga e profonda recessione, o peggio una depressione.

Il collasso del sistema basato sul debito non dipende da un cambiamento della politica economica che lo sostiene, ma da altri e diversi motivi. Quali per esempio i debiti del settore privato, non più in grado aumentare e sostenere per questa via gli investimenti (visto il loro costo). Ma anche la perdita reale del potere d’acquisto che il nuovo debito non riesce più a compensare e l’inefficacia nel contrastare shock esterni (inflazione, catene di approvvigionamento, prezzo dell’energia, guerre, etc) con politiche monetarie che rischiano di mettere a repentaglio il leverage e la domanda finanziata (ricorda sinistramente qualcosa?)

In questo scenario, solo la politica fiscale è in grado di sostenere il ciclo economico, visto che quella monetaria tende a perdere parte del proprio effetto e che il sistema super indebitato è esposto ad una balace sheet recession, stile Giappone negli anni ’90 (con un rialzo di 300 bp in 4 mesi, ci saremmo aspettati che l’inflazione USA calasse molto di più di 2 punti circa). La politica fiscale accomodante comporta però uno squilibrio nei conti pubblici e già oggi il rapporto Debito / PIL degli USA è prossimo al 100% circa (era il 120% durante la seconda guerra mondiale).

Non stiamo ovviamente sostenendo che il sistema economico USA non sia sostenibile, ma evidentemente che lo stesso necessiterà di tempo per ritrovare un sano equilibrio di sviluppo basato sulla crescita dei redditi e della produttività.

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