Dati US e UE confermano la frenata. I mercati vedono però il bicchiere mezzo pieno


I dati dell’Europa confermano l’inizio della frenata dell’economia. Dati negativi anche per gli USA. Basteranno alla FED per mettersi in modalità wait and see?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Vendite al dettaglio MoM di giugno della Germania in uscita oggi alle 8:00 (stima -0,3% contro -0,8% di maggio). Inflazione YoY di agosto e PIL del 2Q23 della Francia (stima 4,2% contro 4,3% di luglio e +0,5% contro +0,1% del 1Q23 rispettivamente) alle 8:45. Disoccupazione di agosto della Germania (stima 5,6%, invariata rispetto a luglio) alle 9:55. Inflazione dell’Italia YoY di agosto (stima 5,2% contro 5,9% di luglio) alle 11:00. Inflazione YoY di agosto e tasso di disoccupazione dell’Europa di luglio (stima 5,1% contro 5,3% e 6,4% invariato rispettivamente) alle 11:00. Richieste di sussidi settimanali USA alla disoccupazione (stima 235k contro 230k della scorsa settimana).

I dati di ieri dell’Europa hanno confermato il rallentamento economico in atto: la fiducia sull’economia di agosto è risultata in linea con le aspettative (93,1 punti), ma in peggioramento rispetto a luglio (94,5 punti), così come la fiducia dei consumatori e quella delle imprese sempre di agosto (-16 e –10,3 punti rispettivamente), in contrazione rispetto a luglio (-15,1 e -9,3 punti rispettivamente). Inflazione della Germania di agosto più alta delle aspettative (6,1% contro 6% atteso) e solo in lieve contrazione rispetto a luglio, che sancisce la stagflazione in cui sembra essere caduta la sua economia.

In USA, gli occupati ADP (non agricoli) di agosto sono risultati inferiori rispetto alle stime (177k contro 195k attesi) e crollano rispetto a luglio (371k). In frenata maggiore rispetto alle attese anche il PIL del 2Q23 (2,1% contro 2,4% stimato e 2% del 1Q23). In calo l’indice PCE core, che si ferma al +3,7% (+3,8% atteso e +4,9% a luglio) e che si avvicina al target delle FED. Basteranno alla FED questi primi segnali di raffreddamento dell’economia per non alzare i tassi a settembre? Se anche il tasso di disoccupazione, in uscita domani, evidenzierà un peggioramento, riteniamo che la FED si metterà in modalità wait and see.

Eravamo nell’agosto del 2020 quando la FED annunciò la revisione degli obiettivi di politica monetaria affermando che, dopo i periodi in cui l’inflazione era rimasta persistentemente al di sotto del 2%, una politica monetaria adeguata avrebbe probabilmente mirato a raggiungere un’inflazione moderatamente superiore al 2% per un certo periodo. Da questo cambiamento di strategia, l’inflazione è stata in media più vicina al 4% che al 2%. Inoltre, negli ultimi 75 anni, l’inflazione è stata in media più vicina al 3% che al 2%. L’obiettivo del 2% era ed è tutt’ora anormalmente basso rispetto agli standard storici e crea problemi associati al limite di efficacia zero.

Anche se non riteniamo che la FED possa aggiornare i suoi obiettivi a lungo termine almeno fino al 2025, dilagano le speculazioni su un possibile aumento dell’obiettivo. Ad esempio, in un editoriale pubblicato il 20 agosto scorso sul Wall Street Journal, il professore di Harvard ed ex presidente del Council of Economic Advisors, Furman, sostiene la necessità di un obiettivo più elevato. Nei sui discorsi, Powell ha sempre opportunamente evitato il punto. Il problema è che un vero obiettivo del 2% richiede che l’inflazione scenda stabilmente al di sotto di tale soglia, dopo periodi prolungati in cui ne è stata al di sopra.

In una recente conferenza stampa, Powell ha inoltre affermato che la FED dovrebbe allentare i tassi prima che l'inflazione scenda al di sotto del 2%. Un obiettivo di inflazione più vicino al 3% abbinato a un trend di crescita reale del 2% creerebbe un mondo di crescita nominale del 5%, che è più vicino al lungo periodo. È importante sottolineare che un obiettivo di inflazione del 3% consentirebbe comunque ai tassi di interesse reali di rimanere positivi. Porrebbe inoltre le basi affinché l’intera struttura dei tassi di interesse si avvicini al nuovo mondo di crescita nominale più elevata.

La crescita del PIL nominale ha registrato un trend al ribasso dal picco della politica pandemica nel 2021, raggiungendo un nuovo minimo ciclico appena inferiore al 5% ad un tasso annualizzato destagionalizzato durante il 2Q23. Gran parte del calo registrato nell’ultimo anno riflette il calo dell’inflazione, poiché quest’anno la crescita reale ha effettivamente registrato una lieve ripresa. Secondo gli ultimi Blue Chip Economic Indicators, le previsioni di consenso di agosto per la crescita del PIL nominale nel 2023 sono aumentate al 5,8% dal 5,5% di luglio. Da gennaio, quando aveva toccato il minimo al 4%, le previsioni di consenso della crescita nominale per quest’anno sono aumentate costantemente, grazie alle sorprese al rialzo della crescita reale.

Nonostante le revisioni al rialzo delle prospettive di crescita per il 2023, le previsioni di consenso per il 2024 sono invece diminuite da gennaio, con gli analisti che prevedono che il PIL nominale cresca solo del 3,3% l’anno prossimo, di cui meno dell’1% di crescita reale e circa il 2,5% di inflazione. I risultati delle società del 2Q23 hanno ben illustrato il problema di una crescita nominale così bassa: la crescita dei ricavi aziendali è limitata dalla crescita del PIL nominale. Sebbene gli utili del 2Q23 abbiano sorpreso al rialzo, sono comunque in calo su base annua. La persistente recessione degli utili iniziata circa un anno fa, riflette la pressione che il calo dell’inflazione sta esercitando sui ricavi e sui margini aziendali mentre i salari iniziano a recuperare il ritardo rispetto all’inflazione passata, superando così l’attuale bassa inflazione.

La crescita dei ricavi per l’S&P 500 è scesa al di sotto dell’1% su base annua nel 2Q23, un nuovo minimo ciclico. La bassa crescita dei ricavi comprimerà il flusso di cassa e costringerà le aziende a ridurre i buy backs che avevano sostenuto i prezzi delle azioni. Inoltre, i minori guadagni stanno costringendo a tagliare i costi.

A differenza degli economisti, gli analisti bottom-up prevedono un’inversione di tendenza nella crescita dei ricavi e dei profitti il prossimo anno sulla base dell’atteso allentamento monetario. La speranza di tagli dei tassi continua tuttavia ad essere spinta in avanti nel futuro poiché l’economia continua a superare le aspettative.

Quando il rallentamento economico giustificherà tassi più bassi rimane una questione aperta. Le prospettive di un trend di crescita nominale del 5% in futuro suggeriscono che un calo della crescita nominale al 3% o al 3,5% previsto per il prossimo anno potrebbe indurre la FED a invertire la rotta nel nuovo contesto di inflazione più elevata. In generale, una crescita del PIL nominale compresa tra il 3% e il 7% nell’arco del ciclo, consentirebbe probabilmente alla FED di operare senza ricorrere in futuro a tassi zero e/o a un persistente allentamento quantitativo.

Il contesto di bassa inflazione e bassi tassi di interesse che prevaleva prima della pandemia ha spostato le preferenze degli investitori verso i titoli growth che beneficiano di tali condizioni a scapito dei titoli value. Sebbene il rallentamento ciclico dell’economia attuale sia relativamente vantaggioso per i titoli growth, lo spostamento strutturale a lungo termine verso tassi e inflazione più elevati favorirebbe i titoli value rispetto ai titoli growth. Tassi nominali e reali più elevati ridurranno probabilmente anche l’eccessiva tensione al rendimento e l’indebitamento eccessivo che è più comune nel mondo a tasso zero del passato.

Dai livelli attuali è molto probabile che nei prossimi mesi i mercati finanziari attraversino un periodo di consolidamento prima di mettere a segno nuove performance. Periodo durante il quale è opportuno prepararsi per cogliere tutte le opportunità che i mercati sapranno offrire. Gli investitori dovrebbero infatti avere una strategia per quando sarà il momento di essere più aggressivi nella ridistribuzione del capitale.

In momenti di mercato come quello attuale, l'asset allocation tattica diventa la chiave del successo per la realizzazione di una performance positiva. I fattori che funzionano sempre sono la qualità e la valutazione degli assets. Nel brevissimo termine, crediamo sia più vantaggioso mantenere un beta contenuto, evitando di cronometrare il fondo del mercato, operazione sempre molto difficile.

La strategia prevede l’adozione del GARP (growth at a reasonable price). Crediamo che il mercato si allontanerà gradualmente dai titoli growth e ad alto beta verso le azioni GARP. La performance come fattore determinante sembra aver toccato il fondo e crediamo che gli investitori riserveranno un’attenzione crescente al valore degli assets (titoli value), grazie anche al recente movimento dei tassi reali, tornati positivi. Rendimenti reali e nominali più elevati in un contesto di inflazione a lungo termine più elevata, tendono infatti a spostare le valutazioni relative dai titoli growth verso i titoli value.

La stagione degli utili aziendali ha portato ad una significativa dispersione della performance considerato che le aziende di qualità superiore hanno fornito indicazioni ottimistiche e hanno superato le aspettative degli analisti. Per i prossimi mesi non disdegniamo i titoli industriali, in particolare in settori come quello aerospaziale, della difesa e dei macchinari. Ma anche il settore dell’energia che può vantare buoni flussi di cassa, valutazioni convenienti e bilanci che sono molto meglio impostati rispetto ad un anno fa per resistere a tassi alti a lungo.

Siamo inoltre convinti che anche le small cap meritino un peso crescente nei portafogli e che questa asset class rappresenti una delle ultime opportunità di investimento attraenti a lungo termine. Le loro valutazioni su base storica e relativa sono infatti rimaste incredibilmente basse e la variazione degli utili fino al 2024 supera di gran lunga quella delle large caps.

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