Difesa europea, nasce lo Schengen militare e cambia la mappa degli investimenti

L’Europa accelera sulla difesa, ma il vero cambio di paradigma non riguarda solo le armi. Al centro del nuovo disegno strategico entrano infrastrutture, logistica e interoperabilità, elementi finora rimasti ai margini del dibattito sugli investimenti militari. Con la nascita dello Schengen militare, il focus si sposta dalla produzione alla capacità di movimento, aprendo un ciclo di spesa potenzialmente decennale che coinvolge industria dei materiali, grandi costruttori e tecnologie di integrazione.
Indice dei contenuti
Dalla burocrazia alla velocità operativa
Per anni l’Europa ha convissuto con una contraddizione evidente: confini permeabili sulla carta ma rigidi nella pratica militare. Un convoglio armato che attraversa il continente resta oggi ostaggio di procedure amministrative lente, pensate per un’altra epoca. Gabriel Debach, market analyst di eToro, descrive il paradosso con chiarezza: armamenti del XXI secolo bloccati da timbri del XIX, con carri armati che impiegano settimane per superare frontiere interne all’Unione. In questo contesto, la superiorità tecnologica perde significato se non è accompagnata dalla capacità di muovere rapidamente uomini e mezzi.
Il voto del Parlamento europeo del 17 dicembre 2025 segna una svolta politica netta. Con 493 voti favorevoli, 127 contrari e 38 astensioni, l’Europarlamento approva una risoluzione che fissa nuovi obiettivi temporali per la mobilità militare: tre giorni in tempo di pace e ventiquattro ore in caso di crisi. Non si tratta di un atto vincolante, ma il segnale è chiaro. Come sottolinea Debach, la difesa europea smette di essere una questione di quantità di armamenti e diventa una questione di velocità di dispiegamento. È in questo passaggio che prende forma il concetto di Schengen militare, destinato a spostare il baricentro degli investimenti verso la logistica integrata.
Infrastrutture, fondi europei e dual use
Il nodo centrale diventa quello delle risorse. Nel bilancio 2021-2027 l’Unione europea aveva inizialmente stanziato 1,7 miliardi di euro per la mobilità militare, cifra poi ridotta del 75% dagli Stati membri. Ora la Commissione propone, per il quadro finanziario 2028-2034, oltre 17 miliardi di euro, dieci volte di più rispetto al passato. Secondo Debach, questa cifra rappresenta solo l’innesco del meccanismo.
Il fabbisogno reale è molto più ampio. Ammodernare circa 500 punti critici tra ponti, gallerie, ferrovie e strade richiederà almeno 100 miliardi di euro. La differenza tra risorse ufficiali e costi stimati non è un vuoto, ma uno spazio operativo occupato da fondi di coesione, interventi della Banca europea per gli investimenti e strumenti dual use. È qui che politica e mercati si incontrano. Formalmente si finanziano opere civili, ma con standard tecnici pensati anche per esigenze militari. Il linguaggio resta civile, la funzione diventa strategica.
Debach evidenzia come la logistica militare sia prima di tutto ingegneria civile pesante. Un carro armato Leopard 2A7 pesa circa 67 tonnellate e un intero convoglio ferroviario può arrivare a migliaia di tonnellate. Ponti progettati per il traffico commerciale possono non reggere questi carichi. Se l’Europa vuole spostare reparti dal Baltico all’Adriatico, deve rafforzare il suolo, non solo dichiarare intenti. Non è una metafora geopolitica, ma un capitolato tecnico che ridisegna le priorità di investimento.
Materiali e grandi opere, il ciclo industriale che si apre
In questo scenario si apre una mappa di opportunità industriali. Debach cita Buzzi come esempio emblematico, grazie a una presenza forte in Germania e Polonia, aree chiave della dorsale logistica dell’Europa orientale. Il cemento è un materiale che viaggia male, con costi di trasporto elevati e margini sensibili alla distanza dai cantieri. In un contesto in cui i rinforzi infrastrutturali si concentrano lungo i corridoi orientali, la prossimità geografica diventa un vantaggio competitivo.
Cementir gioca una partita diversa, più tecnica. Il cemento bianco, i materiali ad alte prestazioni e gli additivi avanzati consentono di aumentare la resilienza delle infrastrutture a carichi dinamici estremi, pensati non più per il solo traffico civile ma per colonne di mezzi corazzati. È la dimensione meno visibile del dual use, spesso trascurata nel dibattito pubblico, ma centrale nella realizzazione dello Schengen militare.
Un altro tassello fondamentale è Heidelberg Materials, con radici profonde in Germania e Polonia, considerate l’hub logistico della NATO in Europa. Secondo Debach, è difficile immaginare che un rafforzamento delle dorsali ferroviarie e autostradali non coinvolga un colosso che ha già inserito difesa e infrastrutture tra i driver strutturali di crescita al 2030. Le aziende dei materiali si stanno muovendo in anticipo rispetto ai governi, preparando capacità produttive prima ancora che i bandi vengano formalizzati.
La stessa logica vale per i grandi contractor. Webuild, Vinci, Ferrovial, Hochtief e Alstom operano in un settore che vive di continuità dei flussi, non di picchi ciclici. Il ciclo che si apre è alimentato da una scelta strategica che prescinde dall’andamento del PIL e distribuisce capitali tra bilanci nazionali, fondi di coesione, BEI, EDIP e rete TEN-T. Non sarà un percorso lineare, ma costante, e questo rappresenta il terreno ideale per chi costruisce ponti, gallerie e infrastrutture complesse.
Difesa, tecnologia e valutazioni di mercato
Il capitolo della difesa in senso stretto resta centrale, ma con sfumature diverse. Rheinmetall, Saab e Rolls Royce continuano a occupare un ruolo chiave, ma i multipli di mercato raccontano una storia già in larga parte incorporata nei prezzi. La domanda, osserva Debach, non è più se questi titoli possano crescere, ma quanto di questa crescita sia già stata scontata. In un contesto in cui eventuali ritardi politici o rallentamenti negli ordini potrebbero emergere, il rischio di valutazione diventa rilevante.
Diverso è il posizionamento di Leonardo e Indra, che operano nell’integrazione dei sistemi, nella gestione dei movimenti, del traffico, dei radar e del cyber. Lo sportello unico della mobilità militare non è un concetto astratto, ma un insieme di software, interoperabilità e controllo. È la parte invisibile ma decisiva dello Schengen militare. Ed è anche l’area in cui gli investitori trovano multipli meno compressi, con Leonardo che scambia su P/E forward intorno a 22,2x e Indra a 21,3x, contro i 42x di Saab e i 39,5x di Rheinmetall.
Il tema del finanziamento resta delicato. I 17 miliardi proposti dalla Commissione rappresentano l’avvio, ma il grosso delle risorse arriverà dall’utilizzo dei fondi di coesione per opere dual use. È un cambiamento storico. Formalmente non si costruisce una strada per i carri armati, ma una strada che stimola l’economia locale e che, incidentalmente, può sostenere mezzi corazzati. La BEI, sottolinea Debach, ha compiuto una svolta impensabile fino a pochi anni fa, aprendo a prestiti e garanzie per la difesa dual use, con l’obiettivo di attrarre capitali privati senza aumentare visibilmente la spesa militare.
Restano però criticità concrete. Gli scartamenti ferroviari diversi rappresentano un problema ingegneristico complesso, capace di vanificare la promessa delle 24 ore. L’inflazione dei materiali riduce il potere d’acquisto degli stanziamenti e rende i cantieri più costosi. Lo Schengen militare, conclude l’analisi di eToro, non è un singolo progetto né un bando, ma un cambio di paradigma. La difesa europea si sposta dagli arsenali alle infrastrutture, dai confini alle strade che devono reggere il peso della geopolitica. Chi costruisce il cannone resta rilevante, ma chi costruisce la strada che gli consente di arrivare al fronte potrebbe diventarlo ancora di più.
La Finestra sui Mercati
Tutte le mattine la newsletter con le idee di investimento!




