Economia Usa, perché in continua crescita nonostante i tassi di interesse al rialzo?


L’economia USA non sembra voler frenare in modo significativo e questo per Tognoli porterà la FED ad alzare i tassi di interesse di ulteriori 50 bp il prossimo 1 febbraio.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di gennaio in uscita oggi alle 16:00 (stima 64,6 punti contro 59,7 di dicembre).

Dati USA positivi e decisamente superiori alle stime quelli di ieri: la prima lettura del PIL del 4Q22 ha fatto registrare un balzo del 2,9% (2,6% stimato e 3,2% il 3Q22), mentre gli ordini di beni durevoli di dicembre sono cresciuti del 5,6% (stima 2,5%), confermano il buono stato di salute dell’economia, almeno apparentemente. I consumi personali crescono del 2,1% (2,9% la stima e 2,3% nel 3Q22). Il Core PCE – parametro preferito dalla FED per monitorare il trend dell’inflazione – è aumentato del 3,9%, poco al di sotto del +4% stimato.

In peggioramento le esportazioni (-1,3% rispetto al +14,6% del 3Q22) quale effetto della forza del dollaro, mentre le importazioni, pur rimanendo negative, hanno ridotto la flessione al 4,6% (dal -7,3% del 3Q22).

L’economia USA non sembra dunque voler frenare in modo significativo e rafforza le nostre convinzioni che il prossimo 1 febbraio la FED alzerà i tassi di interesse di ulteriori 50 bp (e non di 25 bp come atteso dai mercati) allo scopo di raffreddare l’inflazione, anche se questo dovesse comportare dei sacrifici (che al momento però non si vedono) per gli americani.

Ma è davvero tutt’oro quello che luccica? La variazione del PIL è perlopiù dovuta ad un aumento delle rimanenze che raggiungono 130 miliardi di dollari (38,7 miliardi nel 2Q22). Le rimanenze aumentano per due motivi: la maggiore domanda che le imprese prevedono per il futuro (positivo), oppure i minori consumi (negativo). La variazione percentuale di questi ultimi, pur essendo positiva a dicembre (+2,1%), è però costantemente in calo dal luglio 2021. La ragione dell’aumento delle rimanenze sembra quindi essere più legata ad una flessione dei consumi. Al netto dell’effetto rimanenze, la variazione del PIL sarebbe stata nell’intorno dell’1%.

C’è anche un’altra considerazione che ci sentiamo di fare. Se l’economia USA continua a creare posti di lavoro, il PIL cresce e contemporaneamente l’inflazione mostra segnali di rallentamento, meglio di deflazione, la domanda che ci facciamo è se il guardare ai dati sull’occupazione sia del tutto corretto in questa fase storica. Chiariamo meglio il concetto. I dati macro economici ci dicono che sono in costante flessione le richieste di sussidi di disoccupazione e di riflesso il tasso di disoccupazione staziona al minimo storico del 3.5%.

Quali sono le basi della performance dell'economia USA? Sicuramente una buona parte dipende dal piano di investimenti federali inaugurato da Biden per favorire la transizione all'elettrico. Un piano trasversale a diversi settori industriali: dal minerario, alla produzione di batterie per i veicoli elettrici, allo sviluppo di impianti per la produzione di idrogeno per autotrazione, alla messa in opera di una rete nazionale di stazioni di ricarica per i veicoli elettrici.

Il piano di investimenti federale guarda soprattutto alla sicurezza nazionale, alla sicurezza degli approvvigionamenti, e destina una parte cospicua di investimenti alla creazione di impianti di produzione di microchip a tecnologia avanzata direttamente negli USA, allo scopo di ridurre la dipendenza da Taiwan. Sono circa 200 miliardi di dollari gli investimenti federali destinati al settore dei microchip (35 le aziende coinvolte in 16 Stati) che vedranno la creazione di 23 nuovi stabilimenti produttivi a cui si aggiunge l’ampliamento di 9 fabbriche già esistenti.

La previsione parla di una creazione di circa 40-45 mila nuovi posti di lavoro.

La politica fiscale crea posti di lavoro che la politica monetaria distrugge. Chiaro che già qui si capisce che potrebbe perdere di significato (magari anche solo politico) guardare al mercato del lavoro e da questo far dipendere il rialzo dei tassi, nel momento in cui sono previsti forti investimenti destinati a creare occupazione e volti a rafforzare la sicurezza nazionale in diversi settori produttivi.

Anche perché la variazione dell’occupazione al variare dei tassi di interesse non è una funzione lineare, viste le diverse componenti economiche in campo, strettamente intercorrelate fra di loro. Il rischio è che i tassi di interesse aumentino troppo, contribuendo per questa via ad alimentare la secolare riduzione di partecipazione al lavoro facendo scendere il PIL. A quel punto l’unico modo per ridurre la disoccupazione e stimolare l’economia sarebbe quello di aumentare in modo energico i salari, creando però un’inflazione strutturale e persistente e aprire la porta alla spirale salari/prezzi.

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