Eni e Repsol pronte a importare in Europa petrolio dal Venezuela


Le importazioni di greggio dal paese erano state fermate nel 2020 dal Dipartimento di Stato USA all’interno del pacchetto di sanzioni decise dall’amministrazione Trump contro il regime di Maduro, ma potrebbero riprendere per sostenere il processo di riduzione della dipendenza dal petrolio russo.


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Petrolio dal Venezuela

Alla continua ricerca di alternative per il petrolio della Russia, l’Europa potrebbe importare nuovamente greggio dal Venezuela. Secondo fonti della Reuters, infatti, Eni e Repsol potrebbero avviare l’esportazione dell’oro nero venezuelano nel vecchio continente già dal prossimo mese, dopo lo stop arrivato due anni fa a seguito delle sanzioni decise dagli Stati Uniti.

Le fonti dell’agenzia hanno spiegato che il volume di petrolio ricevuto da Eni e Repsol non sarà di quantità elevata, così come il suo impatto sul mercato del greggio dovrebbe essere modesto.

Nonostante la quantità limitata, con questa mossa l’amministrazione di Joe Biden punta a sostenere l’Europa nel suo cammino verso la riduzione della dipendenza dalla Russia, oltre a dirottare alcuni carichi venezuelani dalla Cina.

Tra gli obiettivi secondari c’è anche il riavvio dei colloqui politici tra il presidente del Venezuela Nicolás Maduro e l’opposizione del paese, secondo quanto spiegavano le fonti della Reuters.

Le condizioni

Il via libera a Eni e Repsol è arrivato dal Dipartimento di Stato americano in una lettera e le due società agiranno tramite la joint venture con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA.

La contabilizzazione dei carichi di greggio potrà avvenire a fronte di debiti non pagati e dividendi in ritardo, ma tra le condizioni principali c’è il divieto di rivendita del petrolio, in quanto “destinato all’Europa” per ridurre l’incidenza delle importazioni russe.

Le autorizzazioni sono arrivare il mese scorso, ma i dettagli e le restrizioni alla vendita non sono stati ancora resi pubblici.

Riserbo mantenuto anche da Eni, la quale ha citato la sua politica di non commentare “questioni di potenziale sensibilità commerciale”, mentre da Repsol si sono rifiutati di rispondere alle richieste di commento arrivate da parte della Reuters.

L’analisi di Equita Sim

Si tratta di una notizia “positiva” per Eni secondo gli analisti di Equita Sim, in quanto “l’esposizione nei confronti del Venezuela è rilevante anche se al momento non si tratterebbe di grandi quantità di volumi di importazione”.

Secondo quanto riportato nel bilancio 2021, sottolineano dalla sim milanese, “i crediti outstanding di Eni nei confronti della compagnia venezuelana ammontano a 1,3 bn (a fine 2021), relativi principalmente ai crediti commerciali scaduti verso PDVSA per le forniture del gas equity del giacimento Perla e al finanziamento del progetto”.

Inoltre, “a causa del regime sanzionatorio USA, nel 2021 Eni ha dovuto cessare ogni transazione per l’ottenimento di rimborsi in-kind sia dei crediti outstanding sia di quelli derivanti dal fatturato del periodo. Il valore recuperabile di crediti scaduti nei confronti di PDVSA indicato in bilancio 2021 era pari a 538 milioni”, concludono da Equita in una nota, mantenendo sul titolo una raccomandazione ‘buy’, con target price a 18,50

Esclusioni eccellenti

La scelta di Eni e Repsol lascia fuori nomi eccellenti tra le società petrolifere quali Chevron Corp, l’indiana Oil and Natural Gas Corp e la francese Maurel & Prom SA, aziende che avevano in precedenza avevano fatto pressioni sul Dipartimento di Stato e quello del Tesoro degli USA per ottenere petrolio in cambio di miliardi di dollari di debiti accumulati dal Venezuela.

Queste compagnie petrolifere avevano interrotto lo scambio di petrolio con il debito a metà 2020, quando l’allora presidente USA, Donald Trump, aveva aumentato la pressione verso il Venezuela, tagliando le esportazioni di petrolio venezuelano senza però riuscire a spodestare Maduro.

Nelle ultime settimane, inoltre, la vicepresidente del Venezuela Delcy Rodriguez aveva auspicato su Twitter l’avvio da parte degli USA di un processo verso la “totale abolizioni delle sanzioni illegali”, colpevoli di “colpire tutto il popolo” venezuelano.

La reazione dei mercati

Sui mercati europei, intanto, Eni apre la settimana in crescita del 2% (14,55 euro), al pari di Repsol, oltre quota 15,39 euro (+1,50%), mentre a Milano guadagnano terreno anche Tenaris (+1,80%) e Saras (+2,60%), quando è passata circa un’ora dall’avvio delle contrattazioni.

Ancora in crescita il greggio WTI, scambiato a 119 dollari, mentre il Brent resta stabilmente a 120 dollari al barile.

Oltre alla ripartenza dell'economia cinese dai diffusi lockdown causati dalla nuova epidemia di Covid-19, tra le cause delle pressioni sui prezzi c’è la decisione di Saudi Aramco di aumentare di 2,5 dollari il barile il prezzo di listino del suo greggio più pregiato, superando di 6,5 dollari il valore di riferimento per l’Arab Light, mentre gli analisti si attendevano un incremento minore, pari a 1,5 dollari.

A questo punto, il più grande intermediario di materie prime del mondo, Vitol, si attende una maggiore quantità di petrolio iraniano sul mercato nel corso dell’estate, con gli Stati Uniti che “chiuderanno un occhio” sulla circolazione delle petroliere iraniane.

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