Euro/dollaro, prospettive dopo l'estate dei dazi e le turbolenze geopolitiche

Il cambio euro/dollaro si muove in un contesto segnato dalle decisioni politiche di Trump, dalle attese sui tassi della Fed e dalle turbolenze geopolitiche in Europa. Dopo il picco di svalutazione estiva, il biglietto verde mostra segnali di forza, spinto dal differenziale economico con l’Eurozona, dalle posizioni speculative sul mercato e dalle nuove entrate garantite dai dazi.
Indice dei contenuti
Il peso delle decisioni politiche e della Fed
Le mosse del presidente Trump hanno inciso direttamente sull’andamento del dollaro. Secondo Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte, la rimozione di Lisa Cook dal Board of Governors della Federal Reserve (Fed) e il licenziamento della direttrice del Bureau of Labor Statistics, McEntarfer, hanno rafforzato l’idea di una Fed sotto crescente pressione politica. Parallelamente, il mercato prezza 125 punti base di tagli ai tassi entro settembre 2026, meno dei 150/175 richiesti da Bessent, segnalando una fase di forte incertezza monetaria.
Il cambio euro/dollaro, che a inizio luglio aveva toccato quota 1,18, ha trovato un equilibrio più stabile. Una parte del differenziale di credibilità tra Stati Uniti ed Europa, alla base della debolezza del dollaro fin dal Liberation Day, appare già incorporata nei prezzi. Tuttavia, come sottolinea Cesarano, gli indicatori di forza relativa come il Citi Surprise Index e il livello eccessivo di posizioni corte in USD suggeriscono un possibile apprezzamento fino in area 1,13-1,15.
EUR-USD vs Spread CITI SURPRISE INDEX e EUR-USD vs Risk reversal 1y 25D
Europa tra fragilità interne e nuove tensioni
Alle incertezze monetarie si sommano le fragilità politiche e macroeconomiche dell’Eurozona. Come spiega Cesarano, le difficoltà della Francia e il perdurare della guerra in Ucraina rappresentano variabili che pesano sul sentiment. Le recenti provocazioni russe, con sconfinamenti aerei e attacchi missilistici su postazioni diplomatiche europee in territorio ucraino, hanno riacceso la discussione sull’utilizzo delle riserve russe congelate in Europa.
Un eventuale incremento del rischio geopolitico potrebbe spingere nuovamente gli investitori a rifugiarsi nel dollaro, che, pur con una credibilità ridotta rispetto al passato, resta privo di alternative concrete come valuta rifugio in contesti estremi. La debolezza strutturale dell’Europa amplifica questa dinamica, accentuando il divario con gli Stati Uniti.
Dazi, entrate fiscali e il nodo dei conti pubblici
Un altro elemento cruciale riguarda la politica commerciale americana. La probabile conferma da parte della Corte Suprema della sentenza che ribalterà la decisione della Corte d’Appello sui dazi consentirebbe agli Stati Uniti di incassare risorse significative. Con importazioni intorno ai 3.000 miliardi di dollari e tariffe medie pari al 18%, secondo Cesarano le entrate derivanti dai dazi potrebbero aggirarsi sui 350-400 miliardi di dollari annui.
Questa cifra sarebbe sufficiente a bilanciare l’aumento del deficit generato dal cosiddetto One Big Beautiful Bill, stimato dal Congressional Budget Office in 3.400 miliardi su dieci anni. Per Cesarano, le tariffe diventano così uno strumento non solo politico ma anche fiscale, utile ad attenuare i timori dei mercati sulla sostenibilità dei conti pubblici americani.
Il ruolo della curva dei rendimenti e il concetto di fiscal dominance
Al miglioramento della percezione sui conti pubblici contribuisce anche l’effetto definito “fiscal dominance”, che vede i tassi nominali mantenersi contenuti o in calo fino alla scadenza decennale, nonostante le attese di inflazione in crescita. Il comparto obbligazionario statunitense, in particolare la fascia 3-10 anni, ha già recepito questo orientamento con cali diffusi dei rendimenti.
Come osserva Cesarano, Bessent guarda con attenzione proprio alla cosiddetta “pancia della curva”, tra i tre e i dieci anni. Le prossime emissioni potrebbero concentrarsi su questo segmento, riducendo il costo medio del debito qualora i tassi convergessero verso il livello attuale del debito statunitense, pari al 3,30%. Una strategia che, se attuata, rafforzerebbe la posizione fiscale di Washington.
Prospettive sul cambio euro/dollaro
Le dinamiche di breve e medio termine delineano un percorso articolato per il cambio. Nel breve periodo, scrive Cesarano, l’euro/dollaro potrebbe muoversi verso 1,13-1,15, per poi tornare intorno a 1,18-1,20 entro fine anno o al massimo nel primo trimestre del 2026.
Sul più lungo orizzonte, conclude Cesarano, nel corso del prossimo anno, è atteso un ritorno in area 1,10-1,12, segnalando come il dollaro, nonostante pressioni interne e sfide politiche, mantenga un ruolo centrale negli equilibri valutari globali.
La Finestra sui Mercati
Tutte le mattine la newsletter con le idee di investimento!
