Eurozona, S&P prevede nel 2023 un calo del PIL dello 0,9%

25/01/2023 08:00

La BCE continuerà per la propria strada fino a che l’inflazione non sarà domata, che significa aspettare fino alla fine del 2024.

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Indice IFO di gennaio alle 10:00 (stima 90.2 punti contro 88,6 di dicembre) e le scorte di petrolio USA WoW (stima -0,6 mln di barili contro 8,41 mln della scorsa settimana).

Dati maggiormente importanti per i mercati usciranno domani, con le richieste settimanali USA alla disoccupazione e il PIL del 4Q22.

Dall’inizio dell’anno i mercati finanziari Europei hanno registrato una performance mediamente positiva, con l’indice Stoxx 50 cresciuto del 9,4%, sulle aspettative che l’inflazione abbia raggiunto il picco e di riflesso la BCE possa essere meno falco. Siamo d’accordo sul fatto che sia iniziata la disinflazione, ma non scommetteremmo troppo che la BCE possa essere meno falco.

La dinamica inflattiva, seppur in flessione, continua infatti a rimanere elevata e a preoccupare i membri della Commissione. Non crediamo nemmeno che la Lagarde possa essere sensibile alla levata di scudi di alcuni governi Europei (tra i quali l’Italia) contro ulteriori e cospicui aumenti dei tassi che finirebbero per accompagnare il sistema economico verso la recessione.

Siamo infatti convinti che la BCE proseguirà per la propria strada fintanto che l’inflazione non avrà mostrato evidenti segnali di una significativa e stabile riduzione, anche se questo dovesse comportare una flessione del PIL (così almeno l’interpretazione delle parole della Lagarde).

E proprio sul fronte inflazione le attese di numerosi economisti non sono affatto positive per i prossimi anni. Pur in calo rispetto al 2022 (dove la crescita dei prezzi è stata del 9,2%), l’inflazione nella zona euro dovrebbe rimanere stabilmente al di sopra dell’obiettivo della BCE del 2% per almeno altri due anni (l’inflazione è un razzo a salire e una piuma a scendere). Le stime stesse della BCE indicano infatti un’ulteriore crescita dei prezzi del 6,3% per il 2023 e del 3,4% per il 2024 (diversi economisti stimano una riduzione maggiore). Alla fine del 2024 significa che i prezzi saranno mediamente cresciuti del 18,9% rispetto all’inizio del 2022, riducendo il potere d’acquisto dei salari.

Questi ultimi sono previsti crescere del 5,2% (stima BCE). Occorrerà più avanti valutare se l’incremento previsto dei salari sarà in grado di contenere la flessione dei consumi e per questa via smorzare la flessione del PIL. Restano da valutare gli effetti della ricchezza e del risparmio sulla tenuta dei consumi.

Siamo tuttavia sempre più convinti che con le aspettative attuali la flessione del PIL non tarderà molto a manifestarsi. Secondo S&P la flessione del PIL per l’Eurozona attesa per il 2023 è dello 0,9%, mentre nel 2024 e 2025 la crescita dovrebbe attestarsi allo 0,8% e 1,4% rispettivamente. L'economia mondiale e ancor più quella dei paesi Europei, si trova ad affrontare un doppio rischio di ribasso. Da una parte le pressioni inflazionistiche persistenti che, seppur in riduzione, rimangono elevate e richiedono una politica monetaria restrittiva più lunga di quanto ci si potesse aspettare solo sei/nove mesi fa. Dall’altro il trascinarsi della guerra Russia-Ucraina, che esaspera la crisi energetica in corso (non facciamoci ingannare dal “basso” prezzo del gas) comportando un aumento dell'avversione al rischio. Se nel 2023 il PIL scivolasse in territorio negativo, ci troveremmo in stagflazione.

Lo capiremo sicuramente meglio nei prossimi mesi, soprattutto perché in stagflazione l’incremento dei prezzi è elevato e soprattutto persistente mentre la domanda aggregata è stagnante. Se le attese della BCE per il biennio 2023-24 fossero corrette, l’inflazione non sarebbe persistente e la domanda aggregata non sarebbe stagnante (grazie soprattutto agli investimenti del NGeu, alla spesa pubblica e al saldo tra export e import). Vedremo.

Guerra permettendo, difficilmente il sistema economico mondiale potrà trovare un equilibrio stabile se l’inflazione non si riduce ad un livello compatibile con la crescita della produttività.

In quali settori investire in Europa con questo scenario? La risposta va ricercata negli ingenti investimenti che l’Europa si appresta a fare nei prossimi anni. L’accordo raggiunto il 21 luglio 2020 tra i leader dell'UE ha previsto un articolato pacchetto di risorse finanziarie, inizialmente pari a 1.824,3 miliardi di euro (di cui 1.074,3 dal Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) e 750 dallo strumento Next Generation EU), incrementate dopo l’accordo del 10 novembre a 1.835,3 miliardi di euro a prezzi 2018 (di cui 1.085,3 provenienti dal QFP).

Le iniziative faro (gli obiettivi) di investimento indicate dalla Commissione Europea sono le seguenti:

  1. Utilizzare più energia pulita (Power up) - Utilizzare prontamente tecnologie pulite adeguate alle esigenze future e accelerare lo sviluppo e l'uso delle energie rinnovabili.
  2. Rinnovare (Renovate) - Migliorare l'efficienza energetica degli edifici pubblici e privati.
  3. Ricaricare e rifornire (Recharge and Refuel) - Promuovere tecnologie pulite adeguate alle esigenze future per accelerare l'uso di sistemi di trasporto sostenibili, accessibili e intelligenti, stazioni di ricarica e rifornimento e l'estensione dei trasporti pubblici.
  4. Collegare (Connect) - Estendere rapidamente i servizi veloci a banda larga a tutte le regioni e a tutte le famiglie, comprese le reti in fibra ottica e 5G.
  5. Modernizzare (Modernise) - Digitalizzare la pubblica amministrazione e i servizi pubblici, compresi i sistemi giudiziari e sanitari.
  6. Espandere (Scale-up) - Aumentare le capacità di cloud industriale europeo di dati e lo sviluppo dei processori più potenti, all'avanguardia e sostenibili.
  7. Riqualificare e migliorare le competenze (reskill and upskill) - Adattare i sistemi d'istruzione per promuovere le competenze digitali e la formazione scolastica e professionale per tutte le età.

Siamo convinti che gli investimenti profittevoli nei prossimi anni possano essere quelli che indirizzati verso quelle imprese operanti nei settori interessati dagli investimenti del QFP e dal NGeu.

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