Evergrande: attenzione all'effetto domino sui mercati


La crisi Evergrande sta provocando una vera e propria valanga nel segmento del credito cinese. Riusciranno le autorità di Pechino a bloccare l’effetto domino che rischia di coinvolgere tutti gli altri settori dell’economia?

A cura di Massimo De Palma, head of multi asset team, Antonio Anniballe e Paolo Mauri Brusa, Portfolio Managers presso GAM


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Il settore immobiliare genera circa il 30% del Pil cinese

È da settembre che gli operatori finanziari fanno supposizioni su cosa succederà al colosso cinese dell’immobiliare Evergrande e ai suoi debiti.

La crisi, ormai allargata all’intero settore, “rappresenta un test importante per Pechino”, spiega Massimo De Palma, head of multi asset team presso GAM, e sono in molti gli analisti che temono una Lehman Brothers cinese che arrivi a contagiare la seconda economia più grande del mondo: il settore immobiliare (e le industrie ad esso correlate), rappresentano infatti il 30% del PIL cinese.

Le tre linee rosse

Secondo recenti report pubblicati da S&P Global e JPMorgan, “il debito totale del comparto real estate è più elevato di quanto riportato nei bilanci ufficiali”, nota il team di GAM, e molti colossi immobiliari cinesi, incluso Evergrande, hanno miliardi di dollari di debiti fuori bilancio.

Secondo il report di JPMorgan, questo metodo è stato probabilmente utilizzato per sembrare conforme alle nuove regole sul limite di prestito introdotte di recente. Nel 2020, le autorità di Pechino hanno infatti fissato “tre linee rosse” per le compagnie immobiliari al fine di persuadere il settore a migliorare i fondamentali di bilancio e la capacità di copertura del debito. Le politiche delle tre linee rosse richiedono:

  1. Massimale del 70% sulle passività verso le attività (esclusi i proventi anticipati da progetti ceduti su commessa)
  2. Cap del 100% sul debito netto rispetto al patrimonio netto
  3. Rapporto tra liquidità e indebitamento a breve termine di almeno uno

La conseguenza, spiega il team di GAM, è stata che “molte società hanno incrementato i finanziamenti derivanti dai canali non convenzionali, primo su tutti quello dei prodotti Wealth Management (WMPs)”, ovvero veicoli d’investimento emessi sia da istituti bancari che da società immobiliari e venduti alla clientela retail. Si tratta di prodotti strutturati che hanno avuto un notevole successo nell’ultimo decennio in quanto promettono rendimenti decisamente più elevati rispetto al mercato obbligazionario tradizionale. La disclosure di questa tipologia di strumenti è già obbligatoria per le banche dal 2013, mentre dal 2018 la PBoC ha varato una stringente regolamentazione dalla quale però sono escluse proprio le società immobiliari, che finora hanno potuto agire nell’ombra.

Il dilemma di Pechino

Ad esempio, Evergrande nel 2016 ha venduto il suo primo prodotto WMPs a più di 80.000 persone, inclusi i propri dipendenti, e da allora ha raccolto attraverso questo canale circa 15 miliardi di dollari. Secondo JPMorgan, il reale rapporto debito/capitale di Evergrande è del 177% rispetto al 100% riportato in bilancio. I dati ufficiali parlano di un mercato WMPs di origine bancaria di oltre 4 trilioni di dollari mentre non esistono dati o stime per il mercato non bancario.

Il dilemma di Pechino è chiaro, “da un lato deve per forza porre rimedio al moral hazard in un settore chiave per l’economia; dall’altro però non può permettere che l’effetto domino della crisi dell’immobiliare investa tutti gli altri settori”, spiega De Palma.

È di questi giorni la notizia che la PBoC, per allentare la tensione e iniettare liquidità nel sistema grazie al supporto delle banche, allenterà i requisiti sulle attività di rifinanziamento in valuta locale nel mercato interbancario per le società immobiliari. Si tratta di “un importante segnale politico” da parte delle autorità  dopo che la FED ha avvertito che la fragilità del settore immobiliare cinese potrebbe diffondersi negli Stati Uniti se si deteriorasse drammaticamente. Questo metterebbe a rischio l’interno mercato obbligazionario off-shore cinese, una situazione che “Pechino non può certo lasciare che ciò accada”, concludono gli esperti di GAM.

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