Fed, il taglio dei tassi è quasi scontato ma le vere sfide sono altre

17/09/2025 11:15
Fed, il taglio dei tassi è quasi scontato ma le vere sfide sono altre

La riunione della Fed che termina questa sera si prepara a segnare un punto di svolta per la politica monetaria statunitense. I mercati hanno già prezzato un taglio di 25 punti base, ma le vere incognite riguardano il linguaggio di Powell, la coesione interna al Comitato e la capacità della banca centrale di difendere la propria indipendenza politica.

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Un taglio scontato ma non privo di rischi

La Fed arriva al meeting di settembre in un contesto in cui economia, politica e sentiment di mercato si intrecciano come raramente negli ultimi anni. Il CME FedWatch assegna un 94% di probabilità a un taglio di 25 punti base, con i mercati che prezzano una discesa dei Fed Funds verso il 3,25-3,50% entro dicembre e ulteriori riduzioni trimestrali per tutto il 2026.

Secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro, la decisione di oggi appare quasi già scritta, ma la vera partita si giocherà su tre elementi: il linguaggio utilizzato da Jerome Powell, le nuove proiezioni economiche e il grado di coesione interna al FOMC. Powell dovrà trasmettere l’idea che la Fed taglia i tassi per proteggere il mercato del lavoro, senza però apparire ostaggio dell’inflazione o, peggio, un’estensione della Casa Bianca.

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Dai verbali alla divisione interna

I verbali di quest'anno raccontano una traiettoria progressiva di deterioramento. A gennaio, si legge nel report di eToro, l’economia era descritta come solida, con rischi “in equilibrio” e decisioni prese all’unanimità. A marzo, l’incertezza risultava già “aumentata”, con il Quantitative Tightening rallentato, il Pil rivisto al ribasso all’1,7% e l’inflazione Pce alzata al 2,7%.

A maggio, la Fed riconosceva rischi doppi: crescita più debole e inflazione più alta, con i dazi citati come fattore di pressione. A giugno, le stime scendevano ulteriormente con crescita all’1,4%, disoccupazione al 4,5% e inflazione al 3%. Powell ammetteva che l’incertezza “rimane elevata”. Infine, a luglio, l’unanimità si è spezzata: Bowman e Waller hanno votato per un taglio immediato. In pochi mesi si è passati da una linea “wait and see” a una vera e propria necessità di agire.

L’indipendenza sotto attacco

Il contesto politico amplifica le tensioni. L’ipotesi di un attacco diretto all’indipendenza della Fed è ormai percepita come una delle minacce più serie. La survey di settembre di Bank of America, spiega Debach, indica che il 24% dei gestori considera la perdita di autonomia della banca centrale e la svalutazione del dollaro tra i principali tail risk (rischio di coda), dietro soltanto alla possibilità di una seconda ondata inflazionistica (26%) e a un rialzo disordinato dei rendimenti obbligazionari (22%).

Pochi mesi fa, la guerra commerciale era in cima alle preoccupazioni. Oggi è scesa al quarto posto, con il 12% delle risposte, segno che la narrativa del “trade war trigger” è stata sostituita dal rischio politico e dall’inflazione.

Lo scollamento tra economia e ottimismo dei mercati

Ciò che sorprende, sottolinea Debach, è la distanza tra la fragilità macro e l’euforia del posizionamento. Sempre il BofA Global Fund Manager Survey di settembre evidenzia il livello di ottimismo più alto da febbraio. Solo il 16% dei gestori si attende una crescita globale più debole nei prossimi dodici mesi, rispetto al 41% di agosto, mentre il 67% vede uno scenario di soft landing. È il balzo più ampio nelle aspettative di crescita globale dal 2024.

Le allocazioni azionarie sono salite al 28% overweight, massimo da sette mesi, mentre la liquidità resta al 3,9%. Si tratta di un risk-on pieno, spinto dall’idea che la Fed accompagnerà il ciclo con tagli regolari.

Le previsioni sui tagli per i prossimi mesi

Il sondaggio di BofA conferma un consenso ampio: il 47% degli investitori si aspetta quattro o più tagli nei prossimi dodici mesi, il 30% prevede esattamente quattro, il 29% tre, e solo l’1% non vede alcuna mossa. Un quadro relativamente prudente, che si concentra su tre-quattro interventi in un anno.

Diverso invece il segnale dei mercati dei futures. Il CME FedWatch assegna il 94% di probabilità a un primo taglio, il 73% a un secondo già in ottobre e il 70% a un terzo entro dicembre 2025. Guardando oltre, fino a settembre 2026, lo scenario più probabile (con il 29% di probabilità) è un corridoio dei Fed Funds compreso tra 275 e 300 punti base, il che significherebbe un allentamento complessivo di 125 punti base, ovvero cinque o sei tagli da 25 punti base ciascuno. Tradotto: mentre i gestori parlano di tre-quattro tagli, il mercato sconta un easing più profondo e più rapido.

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Il difficile equilibrio di Powell

Questa sera la Fed taglia perché non può più rimandare: il mercato del lavoro rallenta, i consumi si indeboliscono e ignorare i segnali rischierebbe di generare una spirale negativa. Ma il prezzo è chiaro secondo Debach: ogni taglio riduce lo spazio di manovra se i dazi dovessero trasformare la spinta temporanea sui prezzi in un’inflazione persistente.

Powell non deve solo annunciare un -25 bps, deve convincere i mercati che la Fed resta arbitro indipendente in un contesto in cui le pressioni politiche sono sempre più forti. Come conclude Debach, il mercato accoglierà positivamente lo scenario attuale – tre tagli entro fine anno, gradualità, inflazione considerata effetto temporaneo dei dazi – ma basterebbe un dot-plot più restrittivo, un SEP con proiezioni inflattive più alte o un aumento dei dissensi interni per trasformare il taglio da assicurazione a segnale di debolezza.

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