Fed: la narrativa dei tagli cambia frequenza

Dietro una decisione che in apparenza non cambia nulla, ieri la Federal Reserve ha lanciato un messaggio chiaro: i tassi resteranno alti finché l'inflazione non darà segnali convincenti. Un’analisi di eToro mostra come il nuovo dot plot riveli prudenza e fermezza, in un contesto di tensioni politiche e macroeconomiche complesse.
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Il segnale nascosto nel dot plot
Nella riunione di giugno, che si è conclusa ieri, la Federal Reserve ha lasciato i tassi invariati, come previsto dal mercato. Il vero messaggio è però arrivato tra le righe, come sottolinea Gabriel Debach, market analyst di eToro. Il dot plot, lo strumento che mostra le proiezioni sui tassi da parte dei membri del FOMC, è rimasto formalmente stabile per il 2025 al 3,9%. Ma sotto la superficie si registra uno slittamento: il numero dei membri che prevede un tasso al 4,25% è salito da 4 a 7, mentre si sgretola il fronte favorevole a un taglio più deciso. Anche per il 2026, la tendenza si inclina verso una traiettoria più alta, con una riduzione del consenso sul ritorno al 3,25%.
È il segnale di una Fed più lenta, più cauta, meno disposta ad assecondare le aspettative di un allentamento rapido. Un atteggiamento che si riflette anche nello spread tra i futures SOFR e i Fed Funds, in calo proprio nelle ore precedenti il meeting. I mercati iniziano a prezzare una discesa dei tassi più breve e condizionata, riconoscendo che il ciclo accomodante potrebbe perdere slancio.
Un “nulla” che vale più di mille parole
Il “nulla” del meeting di giugno, come lo definisce ironicamente Debach, è in realtà un messaggio molto chiaro: i tagli ci saranno, ma solo quando giustificati dai dati.
L’attuale posizione della Fed riflette dunque un equilibrio complesso: l’inflazione non è abbastanza bassa, la crescita non è abbastanza debole. E quindi, niente concessioni. La traiettoria si fa più lunga, più prudente, meno lineare. Il mercato, intanto, si adegua a questa nuova normalità fatta di pazienza e disciplina.
Partiamo dalla fine, dai numeri. Wall Street ha chiuso in leggero ribasso (S&P 500 a -0,03%) il giorno del meeting di giugno, interrompendo la serie positiva delle ultime due riunioni Fed (maggio +0,43%, marzo +1,08%) e portando in perfetta parità il bilancio delle sedute FOMC dal gennaio 2022 a oggi: 14 rialzi, 14 ribassi.
Eppure, spiega Debach, tra l’ultimo meeting (del 7 Maggio scorso) e l’altro (quello di ieri), l’S&P 500 ha messo a segno un +6,2%, un rally che non si annotava dal +7,8% dello stesso periodo del 2024.
Il dato che sorprende di più? Secondo Debach la volatilità intraday di ieri: appena 0,8%, in netto calo rispetto all’1,4% di maggio e all’1,7% di marzo. Segno che i mercati iniziano a metabolizzare la postura attendista della Fed come parte integrante del nuovo regime.
La narrativa cambia, ma la direzione resta
I numeri aggiornati dalla Fed raccontano un quadro più sfumato. Il PIL 2025 è stato rivisto al ribasso all’1,4% (dal precedente 1,7%), così come quello del 2026 (da 1,8% a 1,6%). Ma se da un lato la crescita rallenta, dall’altro l’inflazione non cede. Le stime per il 2025 sono salite dal 2,7% al 3,0% (headline) e dal 2,8% al 3,1% (core PCE), evidenziando un’inflazione ancora “appiccicosa”, come la definisce Debach. È la conferma che, nonostante le tensioni si stiano attenuando, le pressioni sui prezzi restano forti, in particolare per via dei dazi e dei costi energetici.
La Fed ha smussato la sua comunicazione. Se a maggio l’incertezza era definita “significativamente elevata”, ora viene descritta come “in diminuzione, ma ancora presente”. È un passaggio da una postura reattiva a una più osservativa, con meno allarmismo ma ancora grande vigilanza. Non è cambiata la traiettoria, ma il tono con cui viene percorsa.
Mercato del lavoro stabile, nessuna urgenza di tagliare
Un altro punto chiave dell’analisi di Debach riguarda il mercato del lavoro. Le stime sulla disoccupazione per il 2025 e il 2026 sono state riviste leggermente al rialzo, entrambe al 4,5%. Ma questo non significa che si intraveda una crisi occupazionale. Al contrario, la resilienza del lavoro giustifica, secondo la Fed, il mantenimento di tassi elevati senza compromettere la stabilità economica.
Il punto è che l’inflazione scende troppo lentamente, mentre la crescita non crolla. E finché non ci sarà una vera svolta sui prezzi, la politica monetaria resterà in guardia. Powell lo ha ribadito con fermezza: la Fed non è ostaggio dell’elettorato, né della volatilità politica, né tantomeno della pressione mediatica. La decisione di non tagliare è anche un atto di indipendenza istituzionale, soprattutto alla luce delle pressioni arrivate dalla Casa Bianca per una politica più accomodante.
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