FED: tassi ancora su due volte. Non siamo del tutto convinti


Nessun aumento dei tassi ieri per la FED. Con il wait and see, la FED ha voluto comprare tempo per valutare gli effetti della crisi delle banche e dei passati aumenti.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Raffica di dati USA in uscita oggi. Si comincia alle 14:30 con le vendite al dettaglio MoM di maggio (stima -0,1% contro +0,4% di aprile), le richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione (stima 250k contro 261k della scorsa settimana) e il PhillyFed di giugno (stima -13,5 punti contro -10,5 di maggio). Alle 15:15 è il turno della produzione industriale MoM di maggio (stima +0,1% con tro +0,5% di aprile).

Ieri la produzione industriale dell’Europa MoM di aprile è risultata migliore delle attese (+1% contro +0,8% stimato), tornando positiva dopo il -3,8% di marzo. In flessione in USA i prezzi alla produzione MoM di maggio (-0,1% contro -0,1% di aprile).

Ieri è cominciata la tornata delle banche centrali. E’ toccato per primo a Powell, il quale, come era nelle attese, ha lasciato i tassi invariati. Oggi è invece il turno della BCE, attesa aumentare i tassi di ulteriori 25 bp.

Ci sono comunque novità importanti nelle parole di Powell. Dopo la più brusca raffica di aumenti dei tassi di interesse degli ultimi quattro decenni, nel mantenere i tassi invariati in questo meeting, la FED ha “segnalato” che sono probabili altri due aumenti quest'anno al fine di stroncare definitivamente l’inflazione. La decisione dei funzionari della FED non è tuttavia stata unanime e si sono divisi sull'opportunità di mettere in pausa o continuare a spingere i tassi più in alto.

La decisione lascia quindi il tasso di riferimento in un intervallo compreso tra il 5% e il 5,25%. Se la FED dovesse aumentare i tassi di ulteriori 50 bp, nei prossimi meeting questi arriverebbero ad un livello compreso tra il 5,5% e il 5,75% nel 2023, secondo la previsione mediana. I mercati finanziari e molti economisti si aspettavano che la FED ritenesse possibile solo un altro aumento di 25 bp a luglio. Sarebbe stato comunque superiore al tasso di picco previsto nel marzo scorso.

Crediamo che un conto sia segnalare che si aumenteranno i tassi di 50 bp, un conto è aumentarli effettivamente. Non ci sentiamo quindi di escludere del tutto che la FED abbia voluto dare un messaggio di credibilità forte al mercato. Ovvero che non si fermerà nell’alzare i tassi fino a che l’inflazione core non tornerà nell’intorno del 2%. Ben sapendo che il difficile inizia proprio adesso: come abbiamo più volte messo in luce, l’ultimo meglio che porterà l’inflazione dal 4% al 2% è il più difficile.

Lo stop dei rialzi di giugno crediamo sia in parte dovuto anche alla crisi del settore bancario che, attraverso la riduzione del credito, sta “aiutando” la FED a ridurre la crescita dei prezzi: diversi analisti stimano che il credit crunch valga come 50 bp di rialzo circa. In altre parole, crediamo che la FED voglia essere sicura dei dati relativi alle condizioni del credito e di come la stretta monetaria di 500 bp in dodici mesi sia in grado di ridurre l’inflazione. E’ quindi possibile che con lo stop la FED abbia voluto “comprare del tempo”. Se l’inflazione core dovesse flettere più del previsto a luglio, è possibile che non ci siano ulteriori aumenti (Powell stesso ha dichiarato che nulla è stato ancora deciso). A settembre poi vedremo.

La FED ha anche rivisto le stime economiche per il 2023. L’inflazione dovrebbe scendere dal 4,4% di aprile al 3,2% entro la fine dell'anno, al di sotto comunque della stima di marzo del 3,3%. Ma una misura fondamentale che esclude gli alimenti volatili e gli elementi energetici e che la FED segue più da vicino dovrebbe chiudere l'anno al 3,9%, al di sopra della precedente stima del 3,6%.

Riviste al rialzo anche le previsioni di crescita del PIL, considerato che la recessione, attesa a cavallo tra il primo e il secondo trimestre, ancora non si vede. Il PIL è atteso crescere dell’1% nel 2023, più rapidamente rispetto alla precedente proiezione dello 0,4%, e dell'1,1% l'anno prossimo.

Il mercato del lavoro, nonostante la crescita al 3,7%, rimane forte. I datori di lavoro hanno aggiunto 339k posti di lavoro, in forte espansione a maggio. La crescita annuale dei salari è scesa dal 4,4% al 4,3%, ma è ancora storicamente alta e potrebbe continuare ad alimentare l'inflazione poiché i datori di lavoro trasferiscono i costi del lavoro più elevati ai consumatori. Tra l’altro, la crescita dei salari attuale è compatibile con una crescita dei prezzi del 2% solo in presenza di aumento della redditività che, in uno scenario di generale riduzione dell’attività produttiva, è difficile ipotizzare.

La spesa dei consumatori, che rappresenta il 70% dell'attività economica, è stata robusta poiché le famiglie hanno fatto affidamento sui risparmi dell'era pandemica al fine di compensare gli elevati costi di indebitamento e l'inflazione. Durante la pandemia, le famiglie hanno accumulato circa 2,5 trilioni di dollari di risparmi in eccesso e trilioni di dollari in assegni federali di stimolo volti a mantenere a galla i lavoratori attraverso licenziamenti e chiusure di attività.

Crediamo che ci voglia più tempo del previsto per consentire al sistema economico di rientrare nell’equilibrio economico e finanziario coerente con la crescita economica potenziale. Di conseguenza, gli americani hanno una grande riserva di risparmi per aiutarli a superare l'inflazione e i tassi di interesse elevati. Hanno ridotto gran parte di quel denaro extra, ma rimangono ancora circa 1,5 trilioni di dollari (secondo Moody's Analytics).

I consumatori hanno anche ancora molta domanda repressa per viaggiare, andare alle partite e cenare fuori ora che la crisi sanitaria è finita. Quindi, mentre i consumi si sono indeboliti, aumentando solo dell'1% annualizzato alla fine dello scorso anno, si sono ripresi e sono cresciuti del 3,8% nei primi tre mesi dell'anno.

Inoltre, sia le famiglie che le imprese hanno importi di debito storicamente bassi, e quindi non sono appesantite da pagamenti mensili elevati per il servizio del debito.

La FED spazza via le attese di riduzione dei tassi nel 2023 del mercato. Riteniamo che l'inflazione continuerà a moderarsi, ma rimarrà al di sopra del 3% fino alla fine dell'anno, e la disoccupazione tenderà a salire fino ad un livello ragionevole del 4,5%. Chiaro che in questo scenario, è improbabile che la FED ridurrà il tasso ufficiale quest'anno. Riteniamo invece che sia probabile un taglio a cavallo tra il primo e il secondo semestre del 2024. Ovviamente sempre a patto che i dati lo consentano.

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