FOMC, è presto parlare di riduzione dei tassi nel 2023


I dati non lasciano molto spazio alle interpretazioni: la FED aumenterà i tassi di 50 bp il 25/26 gennaio prossimi.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Vendite al dettaglio della Germania MoM di novembre in uscita oggi alle 8:00 (stima 0,9% contro -2,8% di ottobre) e vendite al dettaglio dell’Europa MoM sempre di dicembre alle 11:00 (stima 0,5% contro -1,8% di ottobre). In uscita alla stessa ora anche l’inflazione Europea YoY di dicembre (stima 9,7% contro 10,1% di novembre). Alle 14:30 è invece il turno degli USA, con il tasso di disoccupazione di dicembre, previsto stabile al 3,7%, mentre alle 16:00 è atteso l’ISM non manifatturiero sempre di dicembre (stima 55 punti contro 56,5 di novembre).

Ieri l’inflazione Italiana di dicembre si è confermata in flessione all’11,6% (era l’11,8% a novembre) anche se, a differenza di Germania e Francia rimane a doppia cifra, confermando le difficoltà di trasmissione degli impulsi economici del nostro Paese.

In forte crescita e ben oltre le aspettative gli occupati del settore privato USA (ADP), risultati in crescita di 235k (150k le attese e 127k a novembre), mentre parallelamente scendono i licenziamenti programmati dalle aziende (43,6k contro 76,8k di novembre). In riduzione anche le richieste settimanali dei sussidi alla disoccupazione (204k contro 225k attese).

Dalla lettura delle minute della FED appare come tutti i membri del FOMC siano concordi nel ritenere prematuro parlare di riduzione dei tassi nel 2023. Anzi, hanno messo in guardia i mercati finanziari dall’evitare un eccessivo ottimismo sulla conclusione della manovra di rialzo dei tassi. La politica monetaria continuerà quindi a rimanere restrittiva fintanto che l’inflazione non sarà riportata sotto controllo e nell’intorno del 2%.

I membri del FOMC hanno inoltre fatto chiaramente capire come non sia nei piani della FED “aiutare” i mercati finanziari in questo momento, attraverso allentamenti nelle condizioni finanziarie che possano in qualche modo danneggiare la sua crociata contro il carovita.

Poiché la politica monetaria opera in modo significativo attraverso i mercati finanziari, un indesiderato allentamento nelle condizioni finanziarie che comporti un forte miglioramento dei mercati finanziari, complicherebbe infatti gli sforzi di ristabilire la stabilità dei prezzi, specialmente se questo fosse guidato da una errata percezione delle azioni FED.

Il dato in forte crescita degli occupati del settore privato, la previsione di una contrazione dei licenziamenti e le minori richieste di sussidi alla disoccupazione lasciano tuttavia poche speranze di vedere una FED che alzi i tassi di soli 25 bp (aspettiamo però di vedere il dato sulla disoccupazione di oggi) il 25/26 gennaio prossimi.

Del resto, se l’occupazione si mantiene forte, i consumi scendono poco, l’inflazione si riduce e il PIL cresce (la FED di Atlanta ha calcolato che la crescita del 4Q22 possa essere stata del 3,9%), per quale motivo la FED dovrebbe ridurre l’intensità degli aumenti e non mantenere lo squilibrio economico a lungo? Il maggiore rigore dovrebbe, almeno teoricamente, ridurre più velocemente l’inflazione.

Il rischio è che la situazione “scappi di mano” e il sistema economico si avviti su se stesso. Un conto è pilotare la crescita economica, un altro è pilotare una recessione. Crescita e recessione sono opposti, ma gli strumenti di politica economica (fiscale e monetaria) non sono esattamente il contrario gli uni dagli altri.

Tanto è vero che una significativa frenata dell'espansione è comunque attesa: Moody's, nell'outlook del chief economist, anticipa quella che battezza come “slowcession”, una protratta debolezza che vede il PIL inferiore all’1% nei quattro trimestri del 2023.

In altre parole, tutti i dati al momento farebbero propendere per un soft landing dove la crescita economica si mantiene strutturalmente debole per 12/18 mesi. Insomma, un atterraggio morbido a tutti gli effetti.

Quali sono gli investimenti con questo scenario all’orizzonte? E’ probabile che l'asset allocation richieda nuovi approcci, visto che l’aumento delle correlazioni tra le diverse classi di attività ha ridotto il potenziale di diversificazione del portafoglio.

Per quanto riguarda le azioni, riteniamo che queste rimarranno alquanto volatili, visto che la loro dinamica è legata a quella dell’inflazione e della crescita economica. Ci sentiamo quindi di privilegiare una gestione attiva dei portafogli andando a cercare le fonti di alfa all'interno di una posizione azionaria ben diversificata. E questo almeno fino a quando non si sarà diradata la nebbia sulla recessione del prossimo anno.

Per quanto riguarda invece le obbligazioni, ci sentiamo di privilegiare il movimento sulla parte anteriore della curva dei rendimenti. Crediamo infatti che allo stato attuale gran parte della politica restrittiva delle banche centrali sia già stata prezzata e quindi la parte anteriore della curva dei titoli di Stato sembra il luogo più promettente per gli investitori nel prossimo anno. Le obbligazioni a lunga scadenza devono invece essere trattate con cautela a causa dell'elevata sensibilità ai tassi d'interesse e della maggiore correlazione con il mercato azionario.

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