I fondamentali dell’Europa indicano una recessione in arrivo


Per Tognoli nel 2023 l’Europa scivolerà verso la recessione e anche piuttosto pesante, quale effetto dell’agire congiunto dell’aumento dei tassi e della flessione dei consumi dovuta al minore reddito reale disponibile “mangiato” dall’inflazione, che non accenna a diminuire.


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Vendite al dettaglio della Germania MoM di agosto in uscita alle 8:00 (stima -1% contro +1,9% di luglio), prezzi al consumo YoY di settembre dell’Europa alle 11:00 (stima 9,6& contro 9,1% di agosto), PMI Chicago di settembre alle 15:45 (stima 52 punti contro 52,2 di agosto) e fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di settembre alle 16:00 (stima 59,5 punti contro 58,2 di agosto).

Ieri i prezzi al consumo di Germania sono saliti del 10% contro una stima del 9,4%. A trainare la crescita ancora una volta i prezzi dell’energia, saliti del 43,9% YoY. I mercati non l’hanno presa molto bene e infatti subito dopo il dato hanno accelerato al ribasso. Gli investitori si chiedono perché gli interventi della BCE sui tassi non hanno l’effetto sperato. Le ragioni sono principalmente tre. La prima è che gli effetti della politica monetaria richiedono circa 6-9 mesi per essere pienamente visibili. La seconda è che metà circa dell’inflazione è dovuta ad un aumento dei costi, non controllabili dalla BCE. La terza è l’inflazione importata per via della debolezza dell’euro nei confronti del dollaro.

Ci aspettiamo quindi che nel meeting del 27 ottobre prossimo la BCE aumenterà i tassi di 75 bp e il 15 dicembre di 50 bp. E’ probabile che qualcosa si capirà meglio il 5 ottobre, a seguito del meeting di politica monetaria del Governing Council. Già comunque nell’ultimo meeting dell’8 settembre la Lagarde ha ribadito che l’entità degli aumenti sarà decisa sulla base dei dati, aggiungendo che la BCE non ha idea di quale possa essere il tasso neutrale, ovvero quello in grado di assicurare una crescita stabile del PIL a piena capacità.

Se guardiamo ai numeri, le stime del PIL della BCE prevedono una crescita del 3,1% nel 2022 (2,8% la stima precedente), dello 0,9% nel 2023 (dal 2,1%) e dell’1,9% nel 2024 (dal 2,1%). Per contro, l’inflazione media attesa è stata rivista al rialzo: 8,1% (dal 6,8%) nel 2022, 5,5% (dal 3,5%) nel 2023 e 2,3% (dal 2,1%) nel 2024. Quello che si trovano di fronte i mercati è una tuttavia banca centrale che continua a diminuire le stime di crescita economica e aumentare quelle dell’inflazione.

Chiaramente questo genera una serie di incertezze e di domande negli investitori: la BCE non è più capace di fare le stime? Quanto si ridurranno gli utili delle imprese? che cosa succederà al tasso cambio? etc. La Lagarde ha provato a rassicurare i mercati sostenendo che una recessione è prevedibile nel 2023 solo con il completo stop alla fornitura di gas Russo (anche l’inflazione era temporanea) che ora giocoforza si è verificato (leggi sabotaggio delle pipeline Nord Stream). L’incertezza aumenta il premio per il rischio richiesto che può trovare soddisfazione solo a rendimenti più elevati. In altre parole, i prezzi dei titoli scendono fintanto che il rendimento richiesto non sia commisurato al maggiore rischio.

Riteniamo che nel 2023 l’Europa scivolerà verso la recessione e anche piuttosto pesante, quale effetto dell’agire congiunto dell’aumento dei tassi e della flessione dei consumi dovuta al minore reddito reale disponibile “mangiato” dall’inflazione, che non accenna a diminuire. Il motivo è, se vogliamo, semplice. Il Consiglio Direttivo è il primo che non crede che l’inflazione si ridurrà intorno al 2% prima del 2024 e quindi continuerà a far crescere i tassi portando il sistema in recessione. A quel punto, e potremmo essere alla fine del 2024, l’inflazione sarà più bassa di oggi ma al costo di una recessione.

Quello che potrebbe far cambiare idea alla BCE sui tassi, è una flessione dell’inflazione maggiore delle attese visibile nei prossimi mesi. Flessione che potrebbe avvenire solo con una forte contrazione dei consumi e degli investimenti e per questa via del PIL. Quindi appunto recessione. Esisterebbe (usiamo il condizionale non a caso) un’altra possibilità, ed è quella che vede il prezzo del gas ritornare entro gennaio prossimo al di sotto di 50/60 euro al MWh e/o che venga reso operativo il disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’energia elettrica. Ma con i venti che tirano…

Se la banca centrale ha le armi spuntate contro un’inflazione da costi, spetta ai governi agire. E’ quindi sempre più pressante l’esigenza di una forte coesione politica tra gli stati membri che riporti sotto controllo il prezzo del gas e a cascata dell’energia elettrica. Ma nonostante le dichiarazioni di intenti, i governi europei hanno posizioni ancora molto distanti. Vedremo se il meeting del 15 – 16 ottobre porterà consiglio oppure ancora una volta vinceranno le posizioni di parte.

Se non riportiamo il prezzo dell’energia sotto controllo, l’inflazione non è destinata a scendere in modo significativo e quindi la politica monetaria è destinata a rimanere restrittiva schiacciando la ripresa del PIL. Detto in altre parole, più tempo si aspetta a ridurre il costo dell’energia più lunga e profonda sarà la recessione, che potrebbe trasformarsi in depressione.

Non cambia la nostra strategia, che prevede innanzitutto la verifica di alcune condizioni prima di comprare (vedi W. Buffett). Queste sono: i manager devono aver gestito razionalmente i soldi degli azionisti, l’impresa e i managers devono aver realmente aumentato nel tempo i guadagni degli azionisti, al momento dell’acquisto il prezzo deve essere almeno inferiore del 25% al valore intrinseco, i manager devono essere in grado di convertire le vendite in profitti, l’impresa deve evitare l’eccesso di debito, e deve mantenere nel tempo un ROE superiore a quello medio del proprio settore.

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