Fumata nera all’Opec+ e il prezzo del petrolio crolla


Il mancato accordo tra i paesi produttori dell’Opec con la Russia ha provocato la reazione dell’Arabia Saudita, spingendo il petrolio a 30 dollari


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Crolla il greggio e i titoli petroliferi

Crollo improvviso dei prezzi del petrolio dopo il mancato accordo sui tagli alla produzione tra i paesi dell’Opec e il membro esterno, la Russia. Il greggio, infatti, scende a 32 dollari dopo aver toccato i 29 dollari, ai minimi dal febbraio 2016, mentre il Brent viene scambiato a 36 dollari al barile, avvicinandosi così ai minimi del 1991.

I forti cali si stanno riflettendo anche sull’andamento dei titoli petroliferi, con quelli di Milano particolarmente colpiti. Saipem, Tenaris, Eni e Saras, infatti, cedono oltre il 18%, mentre i cali a doppia cifra riguardano le altre compagnie europee.

Secondo gli esperti di Goldman Sachs, "le prospettive per il mercato del petrolio sono ancora peggiori di quelle del novembre 2014, quando è iniziata l'ultima guerra dei prezzi, che ha raggiunto il suo apice con il crollo della domanda di petrolio a causa del coronavirus”.

Fumata nera all’Opec

Oltre che a causa del coronavirus, il crollo del petrolio è determinato dal mancato accordo tra i paesi aderenti all’Opec e la Russia, con il meeting della settimana scorsa conclusosi con un nulla di fatto.

La Russia, infatti, aveva rifiutato la proposta di un taglio della produzione pari a 1,5 milioni di barili, scatenando la reazione degli altri paesi, tra cui l’Arabia Saudita che aveva proposto l’aumento dei tagli.

Da Riad, infatti, hanno annunciato che Aramco, la compagnia petrolifera del regno aumenterà la produzione di petrolio a partire da aprile oltre la soglia dei 10 milioni di barili al giorno, rispetto agli attuali 9,7 milioni, puntando addirittura gli 11 milioni, secondo fonti Reuters.

Con questa mossa, l’Arabia Saudita punterebbe anche a indebolire il ruolo della Russia nel mercato del petrolio. Quest’ultima, infatti, ha dei costi di produzione più alti e un punto di pareggio maggiore su ogni barile prodotto, rischiando così di essere danneggiata maggiormente rispetto alle ‘sorelle’ dell’Opec.

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