I mercati aspettano la nuova narrazione di Powell


I tassi reali positivi sono qui per rimanere, e questo non potrà non avere conseguenze per le banche.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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PIL della Francia QoQ del 3Q23 in uscita oggi alle 7:30 (stima +0,1% contro +0,5% del 2Q23). Vendite al dettaglio della Germania MoM di settembre alle 8:00 (stima +0,5% contro -1,2% di agosto). Alle 10:00 è il turno del PIL dell’Italia QoQ del 3Q23 (stima -0,1% contro +0,1% del 2Q22), mentre alle 11:00 uscirà l’inflazione YoY dell’Europa di ottobre (stima +3,2% contro +4,3% di settembre). Nel pomeriggio alle 14:45 uscirà il PMI Chicago di ottobre (stima 45 punti contro 44,1 di settembre), mentre alle 15:00 la fiducia dei consumatori USA MoM di ottobre (stima 100 punti contro 103 di settembre).

Ieri il PIL del 3Q23 delle Germania è risultato in linea con le aspettative (-0,3%) e in contrazione rispetto allo zero fatto registrare nel 2Q23. In ulteriore riduzione sia rispetto alle attese che a settembre è risultata l’inflazione YoY di ottobre sempre della Germania (+3,8% contro +4% atteso e +4,5% di settembre).

I tassi di interesse più elevati rispetto agli ultimi 10 anni, crediamo che rappresentino un principio fondamentale del nuovo regime di maggiore volatilità macroeconomica e di mercato. La fine dei tassi di interesse a zero ha riportato la concorrenza per i depositi bancari. Il tasso di interesse pagato dalle banche USA sui depositi è rimasto indietro rispetto agli aumenti dei tassi della FED dal 2022. Al contrario, altre parti del sistema finanziario, come i fondi del mercato monetario, hanno rapidamente offerto tassi più elevati.

Di conseguenza, i risparmiatori hanno spostato la liquidità dalle banche ai fondi del mercato monetario: la FED ha iniettato 4.000 miliardi di dollari nell’economia dal 2020, ma il sistema bancario ha solo 2.000 miliardi di dollari di depositi oltre ai prestiti che ha concesso. Alla luce della politica monetaria restrittiva, per essere sicuri che l’inflazione non possa rialzare la testa, riteniamo che i tassi più alti siano destinati a perdurare, cosa che crediamo sarà confermata durante il meeting della FED.

La fuga dei depositi dalle banche ha accelerato dopo il crollo delle tre banche regionali statunitensi a marzo, anche se in realtà questo cambiamento era già in atto. Con una maggiore concorrenza, le banche non possono più finanziare prestiti a buon mercato pagando tassi ai depositanti ben al di sotto del tasso di riferimento della FED, poiché ciò significherebbe perdere più depositanti. Di conseguenza, ci aspettiamo che le banche USA paghino tassi di interesse più elevati ai risparmiatori, che tradotto significa tassi di interesse più elevati sui prestiti bancari, destinati a frenare la domanda. Le banche potrebbero scegliere di non trasferire ai mutuatari il costo aggiuntivo dei loro depositi. Ciò danneggerebbe tuttavia i loro margini di profitto e ridurrebbe la redditività dei prestiti, scoraggiandone la crescita. Nel complesso, ci aspettiamo quindi una riduzione dell’attività di prestito nei bilanci bancari. Le proposte normative, in parte in risposta alle turbolenze bancarie della scorsa primavera, potrebbero rafforzare il processo.

Il mix di pressione combinata sulla redditività delle banche derivante dal concedere meno prestiti e dal pagare tassi di deposito più elevati è già visibile nei margini di interesse netti delle piccole banche. Quest’anno sono diminuiti più di quelli delle grandi banche, secondo i dati di settembre 2023 della Federal Deposit Insurance Corp. Anche le banche di medie dimensioni cominciano tuttavia ad avvertire una maggiore pressione sugli utili: lo vediamo dai risultati del terzo trimestre riportati finora, che mostrano cali rispetto ad entrambi gli ultimi trimestri.

Il regime di tassi più elevati riteniamo che possa cambiare nel lungo termine il panorama finanziario USA, facendo crescere il credito non bancario. Secondo i dati della FED, i prestiti bancari rappresentavano a fine settembre un quinto dei prestiti delle imprese non finanziarie (all’inizio degli anni ’70 erano circa un decimo). Siamo convinti che il fenomeno sia irreversibile e che le aziende continueranno a diversificare i propri finanziamenti verso fonti non bancarie. Prendiamo per esempio il credito privato: potrebbe per esempio attrarre le imprese di piccole e medie dimensioni che devono affrontare elevate barriere di ingresso per accedere ai mercati pubblici.

Gli spread sui prestiti del credito privato si sono ampliati negli ultimi 12-18 mesi diventando interessanti. Inoltre, i prestiti di credito privato tendono ad avere tassi di interesse variabili, evitando così che i loro rendimenti vengano erosi da tassi ufficiali più elevati. Nel lungo periodo riteniamo interessante investire nel credito privato. Ma i mercati privati ​​sono complessi e rischiosi e non adatti a tutti gli investitori.

Le azioni USA hanno toccato i minimi da cinque mesi a questa parte e i rendimenti dei titoli del Tesoro a 10 anni hanno raggiunto i massimi degli ultimi 16 anni. I titoli tecnologici hanno sottoperformato sulla scia di alcuni utili deludenti, mentre i titoli bancari regionali hanno sostanzialmente toccato nuovi minimi dell’anno. I dati core PCE statunitensi, l'indicatore di inflazione preferito dalla FED, hanno rallentato ulteriormente a settembre a causa del calo dei prezzi dei beni. La forte spesa al consumo ha determinato un aumento più forte del previsto del PIL del terzo trimestre. Non riteniamo tuttavia questo sostenibile, visto che i risparmi cumulati nel corso della pandemia si sono orami esauriti.

La FED è al centro della scena questa settimana. Riteniamo che Powell mantenga una politica monetaria restrittiva mentre le pressioni inflazionistiche persistono e con l’invecchiamento della forza lavoro che mantiene rigido il mercato del lavoro. Anche le buste paga americane sono al centro dell’attenzione. Riteniamo che il cambiamento demografico della forza lavoro significhi che presto l’economia sarà in grado di sostenere solo una frazione della recente crescita occupazionale senza alimentare ulteriori pressioni salariali.

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