I mercati finanziari sono impermeabili ai rischi geopolitici?


I costi economici associati ala geopolitica sono imprevedibili e comportano rischi notevoli, fra tutti quelli legati alla sicurezza e alla difesa, ma anche quelli legati alle catene di approvvigionamento potenzialmente in grado di minare il lavoro della Fed.


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Produzione industriale dell’Italia MoM di novembre in uscita oggi alle 10:00 (stima -0,2%, invariata rispetto ad ottobre). Alle 14:30 è il turno dell’inflazione USA YoY di dicembre (stima 3,2% contro 3,1% di novembre) e delle richieste settimanali USA alla disoccupazione (stima 211k contro 202k della scorsa settimana).

Ieri la produzione industriale MoM di novembre della Francia è risultata più elevata delle attese (+0,5% contro zero stimato e -0,3% di ottobre), come migliore delle attese sono risultate le vendite al dettaglio MoM di novembre dell’Italia (+0,4% contro +0,2% stimato e +0,4% di ottobre).

Nel corso degli ultimi 24 mesi i rischi geopolitici sono aumenti in modo considerevole, a cominciare dalla due guerre in corso fino al raffreddamento dei rapporti tra USA e Cina. I mercati tuttavia nel corso del 2023 hanno messo a segno performance più che positive. Sorge quindi spontanea la domanda: i mercati finanziari sono davvero impermeabili ai rischi geopolitici?

A prima vista, gli eventi geopolitici principali degli ultimi 12 mesi sembrano non avere avuto alcun effetto sui mercati azionari globali. Infatti, di fronte a una guerra terrestre in Europa, ad un conflitto militare in Medio Oriente, a tensioni elevate tra Stati Uniti e Cina ed a snodi bloccati nei principali hub di transito, molti indici globali hanno registrato rendimenti record o quasi record l'anno scorso.

Dai minimi ciclici del 27 ottobre alla fine dell'anno, l'S&P 500 è salito quasi del 16%, mentre il Nasdaq e il Dow Jones Industrial Average sono saliti rispettivamente del 19% e del 16%. Nel frattempo, il Russell 2000 ha registrato un rendimento del 24% nello stesso periodo, accompagnato da forti guadagni anche all'estero, con il Nikkei Index del Giappone in aumento del 15%, il DAX tedesco del 19% e l'Ibovespa del Brasile in rialzo del 21%. Addirittura, le azioni israeliane hanno registrato un rialzo alla fine dell'anno, con l'MSCI Israel Index che è schizzato del 28% tra il 27 ottobre e la fine di dicembre, conferendo sorprendentemente a Israele, la palma di uno dei mercati azionari più performanti al mondo.

La conclusione (falsa) di tutto questo? La geopolitica non conta. Il signor mercato è solo spietato, disinteressato e senza pietà e si preoccupa solo dei fondamentali. La vita continua. La geopolitica invece conta eccome e gli investitori non dovrebbero lasciarsi ingannare pensando che gli eventi geopolitici principali di oggi siano insignificanti o irrilevanti per gli asset e i rendimenti di mercato dei prossimi mesi/anni. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. I costi associati alla spesso imprevedibile geopolitica comportano rischi legati all'aumento della spesa globale per la difesa e all'espansione dei deficit di bilancio, all'aumento dei prezzi/inflazione a causa delle vulnerabilità delle catene di approvvigionamento e all'aumento del populismo/nazionalismo globale a causa dell'aumento dei migranti attraverso i confini, spinti dai conflitti.

Per non parlare della sicurezza sociale e la spesa per la difesa. In primis degli Stati Uniti, che è quasi diventata una voce di bilancio obbligatoria in un momento in cui il deficit di bilancio federale, come percentuale del PIL, è già superiore al 6%.

Nel frattempo, l'ultimo sforzo della Fed per raggiungere un'inflazione del 2% potrebbe essere ostacolato dalle catene di approvvigionamento globali bloccate e dall'aumento dei prezzi correlato. Pensiamo al Mar Rosso: una stretta striscia d'acqua attraverso la quale passa dal 10% al 15% delle spedizioni mondiali, che attualmente è attaccata da missili e droni da parte dei ribelli Houthi. Riorientare le navi dal Mar Rosso intorno all'Africa aggiunge circa 12 giorni al viaggio e circa un aumento del 20% dei costi di spedizione, secondo le stime marittime. Il rischio: un picco dell'inflazione indotto geopoliticamente proprio mentre le banche centrali del mondo sono pronte a tagliare i tassi di interesse quest'anno.

Un mondo in pace è un mondo in cui le spese governative possono essere indirizzate verso priorità interne che aiutano a promuovere la crescita futura, dove si risparmia denaro, i deficit e le tasse diminuiscono, e le pressioni inflazionistiche si alleviano. I “dividendi di pace” sono stati significativi non solo per gli Stati Uniti, ma anche per molte altre regioni del mondo, come l'Europa e il Giappone, che hanno vissuto comodamente e a basso costo sotto l'ombrello di sicurezza degli Stati Uniti.

Tuttavia, i tempi sono cambiati. Gli effetti economici e di bilancio favorevoli della riduzione della spesa militare globale sono alle spalle. La guerra fredda degli anni 2020 comporta un aumento delle spese militari globali, con le spese annuali per la difesa che hanno raggiunto un record di 2,2 trilioni di dollari nel 2022, secondo i dati dell'Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma.

Tutto questo per dire che oggi più che mai, la geopolitica richiede l'attenzione degli investitori tanto quanto la crescita degli utili, i tassi di interesse, le valutazioni e le altre metriche tradizionali del rendimento di mercato atteso.

Potrebbe essere che i mercati siano troppo compiacenti di fronte ad un mondo diviso? Il tempo lo dirà, ma nel frattempo gli investitori dovrebbero avere gli occhi ben aperti sugli effetti di primo e secondo ordine dei crescenti rischi geopolitici e posizionare/coprire i portafogli di conseguenza. Le implicazioni per gli investimenti riguardano la gestione del portafoglio, che dovrebbe essere attiva, di alta qualità e diversificata.

In questo scenario, rimaniamo positivi sulle grandi aziende statunitensi della difesa e della cybersicurezza e, in modo più ampio, continuiamo a sostenere e enfatizzare l'importanza della diversificazione del portafoglio. Più ampia e più diversificata è la costruzione di un portafoglio, maggiore è la capacità di mitigare gli alti e bassi ciclici (volatilità) dei mercati.

Continuiamo anche a preferire le società campioni di dividendi e asset concreti (value) e prediligiamo una tendenza per gli asset statunitensi rispetto al resto del mondo. I mercati più vulnerabili, in un mondo in ebollizione geopolitica, sono quelli che mancano di risorse, sono più dipendenti dal commercio globale e dai flussi di capitale e sono carenti in capacità militari. Il criterio esclude gli Stati Uniti, una superpotenza dalle molteplici facce, la cui economia da 25 trilioni di dollari è la più dinamica, diversificata e resiliente del pianeta, ed è meglio posizionata per affrontare, seppur non immune, gli shock geopolitici. Vediamo invece più a rischio l’Europa, l’Asia e i mercati emergenti.

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