Il punto di Antonio Tognoli

07/03/2022 07:45
Il punto di Antonio Tognoli

Allarme stagflazione in Europa, molto più esposta degli USA. Oggi le leve usate negli anni 70/80 non sono praticabili e la politica monetaria restrittiva risulta sempre meno efficace. Quali leve muovere per combatterla?

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Se alla metà di febbraio la curva dei rendimenti USA mostrava segni di appiattimento, ora anche quella Europea sembra appiattirsi. Il segnale è chiaro: gli operatori del mercato si attendono un rallentamento economico che potrebbe avere come risvolto negativo la stagflazione. L’Europa rischia molto di più degli USA che i crescenti prezzi dell’energia scatenino un’inflazione elevata unita ad una flessione della crescita economica (gli USA sono autonomi in termini energetici).

La lotta alla stagflazione è particolarmente complessa, in quanto per diminuire la spinta inflazionistica le banche centrali dovrebbero ridurre la massa di moneta circolante (alzando i tassi e riducendo la velocità di circolazione) e per questa via contenere la domanda di beni e servizi. La diminuzione della domanda causata da una riduzione della massa monetaria non favorisce però la crescita economica. Con una persistente inflazione i salari reali perdono potere d’acquisto e inizia la spirale salari/prezzi. In Europa a differenza degli USA, non si sono ancora viste forti rivendicazioni salariali. Per ora. Negli anni 70/80 questa tendenza fu stroncata dalla delocalizzazione che ha fortemente ridotto la possibilità di contrattare eventuali aumenti salariali riportando in equilibrio il mercato del lavoro, stroncando un ulteriore peggioramento dell’inflazione. Oggi le leve usate negli anni 70/80 non sono praticabili e la politica monetaria restrittiva risulta sempre meno efficace. Occorre muovere le leve della politica fiscale, riducendo la spesa corrente e la pressione fiscale, unici strumenti efficaci per stimolare i consumi e per questa via la domanda aggregata di beni e servizi. La crescita economica che ne consegue renderebbe possibile una ripresa dell’occupazione. Alle Banche Centrali spetta il compito di fine tuning, ovvero di equilibrare la liquidità immessa nel sistema attraverso una migliore allocazione della massa monetaria che accompagni la ripresa dell’economia.

La lotta alla stagflazione comporta un aumento dei tassi che sui mercati azionari significa un aumento del premio per il rischio richiesto dagli investitori. Nelle ultime settimane il premio per il rischio è inoltre aumentato anche per effetto della crisi fra Russia e Ucraina arrivando, secondo il nostro modello, al 33%. Il maggiore rendimento richiesto può essere raggiunto solamente comprando a prezzi più bassi, che quindi scendono fino a quando il rendimento desiderato non è compatibile con il maggior rischio sopportato.

Di fatto, sono quindi due i rischi principali che il mercato percepisce in questo momento, ovviamente correlati fra di loro. Sul fronte della guerra solo un accordo fra le parti è in grado di ridurre il premio per il rischio e per questa via dare anche maggiore visibilità alle azioni delle banche centrali. Per quanto riguarda la stagflazione, occorre capire se i tassi reali continueranno ad essere negativi e soprattutto in che misura si muoveranno verso lo zero. Se l’avvicinamento allo zero sarà graduale, allora l’effetto della crescita dei tassi reali sarà poco percepita dai mercati che cominceranno a chiedere un premio il rischio minore.

Come abbiamo avuto modo di dire più volte, nella situazione di forte incertezza, la regina dei mercati rimarrà la volatilità: l’indice VIX ha raggiunto il 36% (era mediamente del 12% circa prima dello scoppio delle guerra).

La strategia da seguire in questi casi è quella di comprare volatilità, acquistando/vendendo opzioni call/put allo scopo di “coprire” il portafoglio dalle forti oscillazioni dei prezzi.

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