Il punto di Antonio Tognoli


Se il 2022 non sembra un anno facile per l'Europa, tra invasione russa in Ucraina, pressioni al rialzo sui prezzi delle materie prime, interruzioni delle catene di approvvigionamento e inflazione, il 2023 potrebbe stupire, ma in peggio. Secondo Tognoli le previsioni della Commissione sono per una crescita del PIL nel 2023 del 2,3%, sulla quale però l'analista nutre parecchi dubbi.


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Richiesta sussidi alla disoccupazione USA WoW (stima 207k contro 200 della scorsa settimana). Oggi parla la Lagarde. Al di là di quello che potrà dire, vediamo come sta andando l’economia Europea. A seguito dell’invasione russa in Ucraina, l’Europa si è trovata di fronte nuove sfide proprio mentre stava riprendendosi dagli effetti della pandemia. Le pressioni al rialzo sui prezzi delle materie prime, le interruzioni delle catene di approvvigionamento e l’aumento dell’incertezza già peraltro presenti prima della guerra, sono state ulteriormente aggravate da questa, sfociando in una inflazione che da temporanea si è trasformata in permanente.

Nel 2022 il PIL Europeo dovrebbe mantenersi in territorio positivo (+2,7%) grazie soprattutto all’effetto di trascinamento della forte crescita del 2021 e della azione politica intrapresa a sostegno della crescita durante la pandemia. Tra le variabili del PIL, i consumi privati dovrebbero essere sostenuti dalla riapertura post-pandemia, dall’aumento della mobilità interpersonale, dal mercato del lavoro favorevole e in costante miglioramento e dal minore accumulo di risparmi. Per quanto riguarda gli investimenti, dovrebbe essere operativo il NGeu.

Per quanto riguarda il 2023 le cose potrebbero invece cambiare rispetto alle previsioni della Commissione. E in peggio. Questa stima infatti una crescita del PIL del 2,3%, sulla quale nutriamo però parecchi dubbi. La nostra convinzione deriva dall’osservazione delle principali variabili che determinano l’inflazione: i prezzi energetici, che una volta subìto il rialzo continuano a stazionare su livelli elevati e non mostrano segnali di riduzione; le interruzioni della logistica e della catena di approvvigionamento amplificate dalla guerra, causa ed effetto dell’aumento dei costi di produzione per un’ampia gamma di materie prime che non evidenziano nessuna flessione.

E’ chiaro che i rischi delle previsioni sull’attività economica e sull’inflazione dipendono dall’evoluzione della guerra e, in particolare, dal suo impatto sui mercati dell’energia. Ma sono convinto che se scoppiasse la pace tra un minuto (da valutarne comunque gli effetti), le sanzioni non verrebbero immediatamente revocate, il prezzo dell’energia continuerebbe a rimanere elevato a lungo mentre la ricostruzione delle catene di approvvigionamento richiederebbe tempo per poter tornare ai livelli pre-guerra. Con queste incertezze, si sta andando verso un rialzo dei tassi. E’ facile intuire che la minore domanda indotta da un reddito disponibile calante a causa dell’inflazione, unita ad un maggiore costo del capitale, determini una forte pressione sugli utili aziendali. Non siamo quindi così sicuri che il 2023 possa chiudersi con una variazione del PIL positiva. Secondo il nostro modello nel 2023 il PIL, ferme restando le incertezze attuali, sarà nell’intorno delle zero. Certo mancano ancora 18 mesi, ma le nubi all’orizzonte si stanno addensando e ci vorrebbe un vento molto forte per poterle diradare.

Parliamo di investimenti. Tra le diverse incertezze, sappiamo che i tassi di interesse a fine settembre saranno più alti di quelli attuali, così come sappiamo che la crescita del PIL nel terzo e quarto trimestre sarà minore di quella attuale. Largo quindi alle imprese coinvolte nel piano Next Generation Eu che è partito e che dovrebbe privilegiare tutte quelle imprese che operano nel settore della digitalizzazione di prodotto e di processo, della cyber security, della trasmissione di dati su rete fissa o mobile. Ma anche tutte le imprese che operano nella rivoluzione verde (che probabilmente vedranno pure aumentati gli investimenti), da quelle locali a quelli nazionali senza dimenticare tutte quelle che operano nel settore delle infrastrutture e della salute.

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