L'indice S&P 500 può continuare a salire?


Il P/E dell’S&P 500 attuale è più elevato della media, ma non sono previste forti accelerazioni nella crescita degli utili.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Nessun dato particolarmente interessante per i mercati in uscita oggi. Passati i meeting delle banche centrali, gli investitori cominciano a fare i conti con la recessione, ormai nota in Europa e attesa negli USA.

Cerchiamo quindi di capire l’evoluzione delle attese degli analisti. Le stime di numerosi analisti relative agli utili dei titoli che compongono l’indice S&P 500 indicano una flessione del 6,2% circa nel 2Q23, ma un pronto ritorno alla crescita negli ultimi due trimestri dell’anno dello 0,7% e dell’8% per il 3Q23 e 4Q23 rispettivamente. Se effettivamente la crescita degli utili del 4Q23 sarà quella attesa dagli analisti, segnerebbe il più alto livello registrato dal 1Q22.

La negatività sulle prospettive del 2Q23 fa perno sugli effetti che 500 bp di rialzo dei tassi cominciano ad avere sull’economia reale e sul calo della fiducia dei consumatori. Il mix delle due componenti è ovviamente una pessima combinazione per l’S&P 500. Oltre il 95% delle società S&P 500 ha riportato un utile nel 1Q23, ma con un calo del -2,2% YoY e il 2Q23 potrebbe presentare un ulteriore calo, come abbiamo visto.

Il primo trimestre ha visto un modello a forma di "semi-v" quando si osserva il percorso degli utili aggregati. Nel 2022, complice l’elevata inflazione il prezzo dell’energia conseguente alla guerra tutt’ora in corso, gli analisti hanno notevolmente abbassato le aspettative di crescita degli utili, che hanno portato poi le aziende a sorprendere al rialzo.

Il rallentamento degli utili del 1Q23 ha colpito alcuni settori di mercato più duramente di altri. Gli utili del settore dei materiali e dei servizi di pubblica utilità sono per esempio diminuiti di oltre il 20% ciascuno. Viceversa, gli utili del settore dei beni di consumo sono invece cresciuti del 53,9%, mentre quelli del settore industriale del 22,5% nel 1Q23 YoY.

Tra i settori che dovrebbero trainare la crescita nel 4Q23, gli analisti segnalano i servizi di comunicazione (+36%), servizi di pubblica utilità (+26%), beni di consumo voluttuari (+21%) e informatica (+12%). Sono quindi in particolare i servizi che dovrebbero trainare la crescita. Servizi, i cui prezzi sono attesi crescere in modo importante e ad un livello non compatibile con il percorso la riduzione della dinamica inflattiva stimata dalla FED.

La recente crescita dell’S&P 500 delle ultime settimane ha portato il rapporto P/E a 12 mesi a 19x rispetto a 17x di fine 2022 e 16x della media decennale. Storicamente livelli di valutazione simili sono associati ad una accelerazione prevista degli utili e ad una prospettiva di crescita degli stessi a due cifre. In realtà lo scenario macroeconomico prevede una bassa crescita, una politica monetaria che rimane strettiva, una sorta di credit crunch e utili delle imprese mediamente in flessione.

Certo, i mercati potrebbero cominciare a scontare che la FED, di fronte ad una recessione magari più profonda del previsto, cominci a stimolare l’economia per riportarla al suo potenziale di crescita, abbassando i tassi di interesse. Sicuramente Powell la scorsa settimana ha spazzato via in un colpo le aspettative degli investitori che prevedevano due flessioni dei tassi entro la fine del 2023.

Affinchè la FED possa pensare all'allentamento nel 2024, il PIL dovrebbe evitare una forte flessione nel 2023 e iniziare ad accelerare nel 2024 e nel 2025. L'edilizia abitativa, che è la componente principale del PIL più sensibile ai tassi di interesse, è attesa guidare gran parte della fluttuazione della crescita del PIL. Ovviamente saranno necessari tassi più bassi nel 2024 e nel 2025 per migliorare l'accessibilità economica degli alloggi attraverso tassi ipotecari più bassi e quindi rianimare la domanda in un mercato immobiliare in difficoltà.

L'aumento dei tassi di interesse ha svolto un ruolo chiave nella vendita di azioni e obbligazioni nel 2022. Le obbligazioni si riprenderanno sicuramente se i rendimenti scenderanno. E sebbene questo non sia garantito, è possibile prevedere che il calo dei tassi di interesse possa far salire i prezzi delle azioni.

Crediamo che il percorso previsto di riduzione del tasso sui fondi federali possa anche essere maggiore di quello che si aspetta il mercato, misurato dai futures sugli stessi. Le stesse proiezioni della FED risultano ancora più al di sopra delle aspettative del mercato. La differenza, come sempre, inizia piccola, ma entro la fine del 2024 è possibile che il tasso sui fondi federali possa essere anche di 1 punto percentuale al di sotto della proiezione del mercato e di 2 punti percentuali al di sotto di quella della FED.

Questo perché la FED alla fine non potrà che adeguarsi ai dati in arrivo. In molti punti negli ultimi 10 anni e quando la FED ha iniziato a pubblicare proiezioni pluriennali per il tasso sui fondi federali, la stessa ha deviato dalle sue previsioni iniziali a causa di cambiamenti nei dati.

Siamo convinti che l’inflazione possa scendere più rapidamente di quanto previsto dalla FED, motivo per cui prevediamo che alla fine la stessa taglierà i tassi di interesse in modo più aggressivo di quanto attualmente previsto. Allo stesso modo, altri investitori ora sembrano troppo pessimisti sulla rapidità con cui l'inflazione scenderà.

E questo perché la maggior parte delle fonti che hanno fatto schizzare la crescita dei prezzi dall'inizio della pandemia sono in fase di rapida disinflazione e diminuiranno ulteriormente la lor influenza nei prossimi anni. Non solo, ma l'espansione aggressiva della capacità produttiva in molte aree potrebbe trasformare carenze diffuse in eccessi nel giro di pochi anni. Combinando questi fattori con l'inasprimento della politica monetaria, prevediamo che l'inflazione scenda al 3,5% per l'intero anno 2023 e in media solo all'1,8% nel periodo 2024-27.

Se vogliamo allungare l’orizzonte temporale e confrontarci con il lungo periodo, vediamo una FED che scompare dal radar dei mercati. I tassi di interesse saranno presumibilmente più determinati da correnti sottostanti nell'economia, come l'invecchiamento demografico, la più lenta crescita della produttività e una maggiore disuguaglianza economica. Queste forze hanno agito per decenni per abbassare i tassi di interesse negli USA e in altre grandi economie, creando un eccesso di risparmio rispetto agli investimenti. In altre parole, il tasso naturale di interesse si è spostato verso il basso. Questi fattori trainanti a lungo termine dei bassi tassi di interesse non sono del tutto scoparsi e crediamo che torneranno in primo piano una volta che gli effetti positivi e negativi della pandemia e tutto quello che ne è seguito saranno solo un brutto ricordo.

Per questo motivo, crediamo che i tassi d'interesse, una volta ridotti, rimarranno bassi più a lungo, beneficiando la crescita economica.

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