Inflazione USA: adesso arriva il bello. Sempre bond azioni di qualità


Le dinamiche che hanno causato l’impennata dei prezzi negli Stati Uniti si stanno allentando ma il forte mercato del lavoro tiene alti i consumi e per questa via i prezzi.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Prezzi al consumo della Germania YoY di marzo in uscita oggi alle 8:00 (stima 7,4% contro 8,7% di febbraio), produzione industriale MoM dell’Europa di febbraio alle 11:00 (stima 1%, contro 0,7% di gennaio). Alle 14:30 è la volta dei dati USA: richiesta settimanale di sussidi alla disoccupazione (stima 205k contro 228k della scorsa settimana) e prezzi alla produzione MoM di febbraio (stima +0,1% contro -0,1% di gennaio).

Ieri l’inflazione USA di marzo ha sorpreso i mercati: il dato è risultato pari al 5% contro il 5,2% atteso e il 6% di febbraio. Su base mensile, i prezzi sono aumentati dello 0,1%, la lettura più bassa dallo scorso luglio. Pur in rallentamento la crescita dei prezzi si mantiene comunque ben al di sopra dell'obiettivo del 2% indicato dalla FED. Tra le categorie che hanno registrato una crescita eccessiva dei prezzi ci sono il cibo, che è salito dell'8,5% da marzo 2022 a marzo 2023 e l'affitto, che ha registrato una crescita dell'8,3% (il più grande aumento degli ultimi 12 mesi).

Non è però tutt’oro quello che luccica. L’inflazione core rimane infatti ostinatamente alta aumentando del 5,6% rispetto all'anno precedente (prima volta negli ultimi sei mesi).

La riduzione della dinamica generale dell’aumento dei prezzi è per lo più dovuta al graduale allentamento dei fattori che ne hanno causato l’impennata vista lo scorso luglio, come per esempio i problemi delle catene di approvvigionamento e i prezzi elevati dell’energia.

Ma le fiamme dell'inflazione continuano ad essere alimentate da un mercato del lavoro ancora caldo, che ha aggiunto 1 milione di posti di lavoro nei primi tre mesi del 2023. È uno sfortunato compromesso: i lavoratori che si sentono sicuri del proprio lavoro spendono in consumi e servizi, il che crea una domanda nell'economia che può determinare aumenti dei prezzi. Aumentando i tassi di interesse, la FED rende gli investimenti, i prestiti e, in ultima analisi, le assunzioni più costosi per le imprese.

C'è comunque un persistente squilibrio tra domanda e offerta che deriva da un eccesso di domanda. La disoccupazione è ai minimi da 50 anni e la spesa è piuttosto forte, ed è quella domanda che la FED ha inteso ridurre aumentando i tassi di interesse, i cui effetti sull’economia reale cominciano a farsi sempre più concreti.

Questo, unito al rallentamento economico causato dal restringimento del credito causato dal fallimento delle tre banche regionali, ci porta a concludere che probabilmente l’inflazione USA calerà ancora nel corso del 2023, ma decisamene molto più lentamente rispetto a quanto fatto fino ad ora. Il problema è infatti l’ultimo miglio: è meno difficile (non più facile) ridurre l’inflazione dal 9,1% al 5% piuttosto che dal 5% al 2%.

Un'attività economica più lenta e un mercato del lavoro più flessibile, significano un tasso di disoccupazione superiore all'attuale 3,5%. In caso contrario difficilmente le pressioni inflazionistiche si ridurranno ulteriormente in modo significativo.

Oltre alla disoccupazione un altro dato monitorato attentamente dalla FED è la crescita dei salari. Da questo punto di vista la tendenza appare positiva. Secondo i dati pubblicati da Goldman Sachs, i guadagni dei lavoratori stanno crescendo meno del 5% a trimestre, in calo rispetto all'8% del 2021 e dopo essere cresciuti di circa il 18% nell'inverno 2021-22.

Riteniamo che il rallentamento della crescita dei salari possa supportare la nostra visione secondo cui gran parte di questa sia stata determinata da fattori temporanei, principalmente legati a cause dovute alla pandemia come la riduzione della manodopera e i picchi di prezzo dell'energia che hanno portato i lavoratori a chiedere una retribuzione più alta.

Tutti questi fattori sono completamente o parzialmente svaniti da soli e sembrano aver risolto gran parte del problema di abbassare la crescita dei salari al 3,5% che stimiamo possa essere compatibile con il 2% di inflazione. Di conseguenza, riteniamo che la FED possa avere “meno urgenza” di continuare ad aumentare aggressivamente i tassi di interesse.

Una cosa però va ben spiegata. Anche se l'inflazione continua a rallentare, non si invertirà del tutto (ci sarà disinflazione e non deflazione). Solo in rari casi, e nemmeno durante alcune recessioni, i prezzi diminuiscono su base annua. In altre parole, i prezzi più alti che sono orami diventati un segno distintivo dell'economia USA post-pandemia sono qui per restare. La moderazione dell'inflazione non significa che i prezzi scenderanno, ma sole che aumenteranno meno velocemente.

Riteniamo che dopo un ulteriore aumento di 25 bp il mese prossimo, che aumenterebbe il tasso di riferimento a circa il 5,1% (il punto più alto in 16 anni) la FED possa interrompere gli aumenti, ma lascerà il tasso chiave elevato fino a tutto il 2023. La flessibilità più volte ricordata da Powell, potrebbe comunque far scattare ulteriori aumenti qualora la FED lo ritenesse necessario per frenare l'inflazione.

Per quanto riguarda gli investimenti, ribadiamo i concetti espressi ieri. Partendo dalle obbligazioni e con rendimenti reali che si apprestano a diventare positivi, riteniamo sempre meno necessario per gli investitori assumere rischi di credito più elevati, come per esempio l’high yield, per cercare rendimento. E’ infatti possibile optare per obbligazioni di migliore qualità, ottenendo un rendimento decente. Non ci sentiamo di escludere che nel corso dell’anno il rapporto rischio/rendimento si possa spostare ancora verso le fasce più alte del rischio di credito, costringendo così gli investitori ad assumere più rischio (ad esempio quando gli indicatori anticipatori raggiungeranno il minimo nel 2023 e l’economia mostrerà segni di ripresa nel 2024).

Per quanto riguarda le azioni, continuiamo a ritenere che il sell-off sia stato del tutto eccezionale perché è stato quasi interamente dovuto al derating dei multipli, ossia da valutazioni in calo, mentre le aspettative sugli utili sono rimaste stabili. Nella parte rimanente del 2023 riteniamo che gli investitori si concentreranno sempre più sulle prospettive degli utili e in particolare sulla loro resilienza a fronte del forte rallentamento dell’attività economica e delle pressioni inflazionistiche. Crediamo quindi che sia ragionevole per gli investitori mantenere una strategia orientata verso i titoli di qualità ed a elevato cashflow.

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