Italia: l'inflazione cala poco e il debito pubblico rimane alto. Perché?


Perché l’inflazione in Italia è tra le più elevate dei paesi Europei ed è attesa pure in accelerazione a giugno?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Indice IFO di giugno in uscita oggi alle 10:00 (stima 90,7 contro 91,7 di maggio). In settimana sono attesi i dati di inflazione di giugno dell’Europa (stima 5,7% contro 6,1% di maggio), dell’Italia (stima 8,4% contro 7,6% di maggio), della Francia (stima 4,6% contro 5,1% di maggio) e della Germania (stima 6,3% contro 6,1% di maggio), oltre al PIL USA del 1Q23 (stima 1,4% contro 2,6% del 4Q23).

Perché l’inflazione in Italia è tra le più elevate dei paesi Europei ed è attesa pure in accelerazione a giugno? La maggiore crescita crediamo sia per lo più dovuta, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (YoY +30%). L’inflazione core si è fermata a maggio al 6% (dal 6,2% di aprile), ma è prevista anch’essa accelerare al 6,7% a giugno.

Secondo le previsioni dell’Istat dell’inizio del mese, Il PIL del nostro Paese è atteso in crescita sia nel 2023 (+1,2%) sia nel 2024 (+1,1%). Nel biennio di previsione, l’aumento del PIL verrebbe sostenuto principalmente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (+1,0 punto percentuali nel 2023 e +0,9 p.p. nel 2024) e da quello più contenuto della domanda estera netta (+0,3 e +0,2 p.p.).

Recessione dunque evitata, ma a costo di una inflazione piuttosto resistente. Il segnale che nel 2024 la crescita del PIL sia prevista in flessione rispetto a quella del 2023, sia pure marginale, non è certamente positivo. Soprattutto perché negli altri paesi europei il PIL è previsto crescere. Evidenzia infatti la storica debolezza del nostro Paese: il debito pubblico che drena risorse al sistema produttivo e non consente alla crescita economica di raggiungere il suo potenziale (nell’intorno del 2%).

Nel 2023, le scorte sono attese fornire un contributo negativo (-0,1 p.p.) a cui ne seguirebbe uno pari a zero nel 2024. Nonostante l’inflazione continui a mordere, i consumi delle famiglie dovrebbero registrare un segno positivo e pari allo +0,5%, che dovrebbe poi crescere all’1,1% nel 2024, grazie soprattutto alla disinflazione unita ad un graduale recupero delle retribuzioni e al miglioramento del mercato del lavoro.

Gli investimenti sono attesi mantenersi su crescite elevati rispetto alle altre componenti (3,0% nel 2023 e 2,0% nel 2024), ma in decelerazione rispetto al biennio precedente. In miglioramento l’occupazione, misurata in termini di unità di lavoro (ULA), che dovrebbe crescere in linea con quella del PIL (+1,2% nel 2023 e +1% nel 2024).

Lo scenario non è per nulla negativo. Si basa però su ipotesi favorevoli circa il percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi (già in giugno l’inflazione è prevista invece in crescita) e sull’attuazione del piano di investimenti pubblici programmati (al netto dei problemi di attuazione del PNRR).

I dati relativi al 1Q23 confermano la dinamica positiva degli investimenti ma con un tasso di crescita contenuto (+0,8% la variazione sul trimestre precedente) e inferiore a Spagna (+1,9%) e Germania (+3%). Con riferimento al tipo di investimento, in Italia le costruzioni continuano a segnare la crescita congiunturale più alta (+1%) seguite dagli investimenti in impianti, macchinari e armamenti (+0,8%) e da quelli in proprietà intellettuale (+0,3%).

Chiaro che l’elemento discriminante per gli investimenti nel biennio 2023-2024, è il PNRR. Timidi segnali positivi provengono dalle attese sulla liquidità e sugli ordini delle imprese manifatturiere nonostante la flessione di maggio. Non ci sentiamo di escludere che la fine delle misure di incentivo al settore delle costruzioni, l’incertezza intorno alla situazione geopolitica, la politica monetaria restrittiva della BCE, il rallentamento della produzione industriale e la riduzione del grado di utilizzo degli impianti, potrebbero agire da freno alla dinamica del processo di accumulazione di capitale.

Considerando il mix di questi elementi gli investimenti, come dicevamo, sono previsti in rallentamento nel biennio 2023 – 2023, ancorche comunque in crescita. Questo determinerebbe ovviamente una riduzione del rapporto investimenti/PIL che si attesterebbe al 21,4% nel biennio (dal 22% del biennio precedente). Livello coerente (in negativo) con il rapporto tra investimenti in ricerca e sviluppo, pari all’1,25% del PIL che piazza l’Italia sotto la media rispetto ai 28 Stati membri (p.e. 4 volte inferiore alla Germania).

Insomma, sono solo gli investimenti previsti dal PNRR che saranno in grado di cambiare il volto dell’economia Italiana. Purtroppo da questo punto di vista l’Italia fatica più di altri paesi europei. Ed è proprio il ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il PNRR, Fitto, che lo ha detto senza usare giri di parole: "Alcuni interventi da qui a giugno del 2026 non possono essere realizzati.” Fitto ha ammesso i problemi sull'attuazione del Piano. L'Italia rischia quindi di bucare i traguardi sui progetti del PNRR necessari per sbloccare i fondi della Commissione europea: niente obbiettivi raggiunti, niente soldi.

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