La disinflazione indolore è un mito


Tognoli evidenzia come una recessione non sia un risultato inevitabile della lotta contro l’inflazione. E sembra proprio il modus operandi dell’Europa.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Fiducia dei consumatori USA MoM di marzo in uscita oggi alle 16:00 (stima 101 punti contro 102,9 di febbraio).

Ieri l’indice IFO di marzo è risultato migliore delle stime (93,3 punti contro 91 atteso) e migliore rispetto al dato di febbraio, pari a 91,1 punti.

Oggi cominciamo con una domanda. Il mondo può sconfiggere inflazione e insieme la recessione? La risposta sarebbe negativa (il condizionale è d’obbligo) ma l’Europa sembra incamminata su una strada alternativa anche se, lo diciamo chiaramente, non sarà affatto indolore.

Non più tardi dello scorso gennaio, in occasione del World Economic Forum a Davos, tutti i leader presenti si interrogavano sulla profondità e durata della recessione, avendo davanti uno scenario piuttosto cupo. Due terzi degli economisti intervistati dal WEF per il suo rapporto Chief Economists Outlook affermavano che una recessione era molto probabile nel 2023. Sempre a gennaio, la Banca mondiale avvertiva che l'economia globale era pericolosamente vicina dal cadere in recessione.

Il Fondo monetario internazionale nella sua valutazione di fine gennaio ha presentato tuttavia una previsione meno pessimistica, suggerendo che l'economia globale avrebbe anche potuto evitare la contrazione nel 2023. Precisando tuttavia che l'economia del Regno Unito si sarebbe sicuramente contratta, mentre quella degli USA avrebbe avuto una "via stretta" per sfuggire a una recessione. L’indicazione delle ragioni del FMI (e della Banca mondiale) che avrebbero portato ad un rallentamento fino a scivolare verso la recessione erano chiare: i forti e veloci aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali.

Frenare la crescita dei prezzi non è mai un esercizio indolore e, nella maggior parte dei casi, porta a un rallentamento economico. Ma è un compito vitale e strategico per le banche centrali perché i prezzi elevati colpiscono maggiormente coloro i quali non possono aumentare il proprio reddito ad un aumento dell’inflazione (la stragrande maggioranza dei lavoratori).

Nonostante l’Europa stia affrontando le conseguenze economiche della brutale guerra della Russia, sembra tuttavia aver intrapreso un cammino che possa portarla ad affrontare la crescita dei prezzi senza far precipitare l'economia in una recessione.

Nel bel mezzo della pandemia di COVID-19, che ha travolto l'economia globale a causa dei blocchi e dei colli di bottiglia della catena di approvvigionamento, le banche centrali di tutto il mondo hanno tagliato i tassi di interesse per stimolare la domanda, attuando una politica monetaria accomodante. Tuttavia, con la successiva apertura delle economie, la spesa dei consumatori è aumentata notevolmente, portando l’inflazione ai massimi da decenni. In risposta, le banche centrali hanno inasprito la loro politica monetaria e aumentato i tassi di interesse al fine di aumentare il costo del denaro.

Usare la politica monetaria per controllare l'inflazione è tuttavia un’arma a doppio taglio, soprattutto se l’aumento dei tassi si presenta forte e veloce, perché finisce per colpire tutti aumentando il costo del denaro sia per le famiglie che per le imprese. L'approccio sembra (sembra) funzionare in molti paesi che stanno assistendo a un calo dei livelli di inflazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'inflazione è scesa drasticamente dal massimo di quattro decenni del 9,1% nel giugno 2022 al 6% a febbraio. In Brasile, l'inflazione dei prezzi al consumo è scesa dal picco del 12,1% dello scorso aprile al 5,6% di febbraio.

Ma, come stiamo assistendo in queste ultime settimane, l'aumento dei tassi di interesse ha anche altre conseguenze per l'economia: le aziende rallentano gli investimenti e/o iniziano a ridurre la forza lavoro, il sistema bancario fatica a reagire alle nuove condizioni del credito etc.

I prezzi più alti e crescenti costringono i lavoratori a chiedere salari migliori alle aziende che, vedendo un aumento dei costi, aumenteranno i prezzi generando per questa via nuova inflazione. Il meccanismo crea una spirale negativa. Ed è un meccanismo che spesso fa più male alle persone più povere, perché di solito hanno un basso potere contrattuale quando si tratta di trattative salariali e non hanno risparmi sufficienti per far fronte all'aumento del costo della vita.

Esiste però un altro modo per fermare l’inflazione e sostenere l’attività produttiva. In altre parole, una recessione non è un risultato inevitabile della lotta contro l’inflazione. E sembra proprio il modus operandi dell’Europa.

Per mantenere la stabilità dei prezzi evitando la recessione, le banche centrali hanno bisogno del sostegno dei governi dei loro paesi attraverso altre politiche. Gli strumenti di politica monetaria delle banche centrali funzionano meglio per affrontare il problema della domanda. Ma le banche centrali non possono affrontare le questioni relative all'offerta, come ad esempio lo shock energetico. Spetta ai governi smorzare gli shock dell’offerta. Ed è proprio qui che l'Europa che sta fornendo un esempio che sembra funzionare. L'adattamento del vecchio continente alla crisi energetica è stato infatti migliore del previsto e questo potrebbe smorzare o addirittura evitare una recessione. Per il 2023, l'aumento dei prezzi dell'energia elettrica e dell'elettricità è limitato al 15%, con le famiglie più povere che ricevono trasferimenti di denaro anticipati.

Lo stesso FMI ha affermato che la resilienza mostrata dall'Europa in termini di performance economica è in parte dovuta proprio al sostegno dei governi, pari complessivamente all'1,2% del PIL dell'UE: a dicembre dello scorso anno i paesi dell'UE avevano stanziato oltre 600 miliardi di euro per queste misure. Aiutando a frenare l'inflazione da costi, queste misure hanno consentito alla BCE di aumentare i tassi di interesse meno di altre economie sviluppate come gli USA. E l'economia europea, che era attesa contrarsi nell'ultimo trimestre del 2022, è invece cresciuta marginalmente dello 0,1%.

Certo, le banche centrali avrebbero potuto rispondere in modo più veloce all’aumento dei prezzi se solo avessero visto per tempo che l’inflazione non era né transitoria né temporanea. Ora, mentre cercano di recuperare il ritardo, le banche centrali devono premere molto forte sul pedale dell’acceleratore. Ma purtroppo la funzione che lega l’inflazione/dinsinflazione alla riduzione/crescita dei tassi di interesse non è lineare e apre la porta a disequilibri economici e monetari molto forti (vedi casi recenti), esasperati dai mercati finanziari.

Nell'ultimo mezzo secolo, l'economia mondiale, oltre al 1975 e al 1982, ha visto recessioni anche nel 1991, 2009 e 2020. Anche se l’Europa e il mondo riusciranno ad evitare una recessione nel 2023, il forte rallentamento economico danneggerà milioni di lavoratori in tutto il mondo. Le misure prese dalle nazioni europee serviranno sicuramente ad attenuare il colpo, ma non a proteggerli completamente. In altre parole, la disinflazione indolore è un mito.

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