La visione del mercato è cambiata, ma gli indici rimangono intorno ai massimi


Viviamo in un mondo plasmato da forze strutturali e da un’offerta, che creano maggiore incertezza per la Fed e i mercati rispetto a qualche anno fa.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Produzione industriale della Germania MoM di marzo in uscita oggi alle 8:00 (stima -1% contro +2,1% di febbraio) e vendite al dettaglio MoM di marzo dell’Italia alle 10:00 (stima +0,2% contro +0,1% di febbraio).

Più bassi delle attese sono risultati ieri gli ordini all’industria MoM di marzo della Germania (-0,4% contro +0,4% atteso), ma in miglioramento – pur rimanendo negativi - rispetto al -0,8% di febbraio. I dati indicano che il miglioramento dell’economia tedesca e probabilmente quella dell’intera area Euro, sembra proseguire con maggiore lentezza rispetto alle attese. Del resto, l’elevato costo dei finanziamenti rende un numero crescente di investimenti sempre meno profittevoli. In crescita rispetto alle attese le vendite al dettaglio MoM di marzo dell’Europa (+0,8% contro +0,6% atteso e -0,3% di febbraio).

A seguito delle sorprese sull'inflazione del 1Q24 la Fed ha ribaltato la sua visione dello scorso dicembre e sembra ora aver accettato che i tassi di interesse rimangano effettivamente alti più a lungo. Forse anche più a lungo di quanto la Fed stessa si aspettasse. Del resto, Powell ha sempre detto che la politica monetaria sarebbe stata guidata dai dati.

Viviamo in un mondo plasmato da forze strutturali e da un’offerta, che creano maggiore incertezza per la Fed e i mercati rispetto a qualche anno fa. Ecco perché teniamo d’occhio i nuovi dati, non tanto i segnali della Fed, per valutare il percorso di politica monetaria. I mercati riflettono ora una visione di tassi elevati per un periodo più lungo rispetto allo scorso dicembre. E qui dobbiamo dire che la Fed ha portato i mercati ad accettare una visione completamente diversa rispetto a sei mesi fa, pur rimanendo nell’intorno dei massimi di periodo.

Alla riunione di dicembre, le comunicazioni della Fed e le sue previsioni economiche segnalavano che l’inflazione sarebbe scesa verso il 2% entro la fine di quest’anno, il che significava che la banca centrale sarebbe stata in grado di tagliare i tassi nel 2024. Qualsiasi previsione di un’inflazione in costante calo verso il 2% presuppone tuttavia che i prezzi dei beni continueranno a scendere e che l’inflazione dei servizi si attenuerà sostanzialmente rispetto agli attuali elevati livelli. Riteniamo che questi risultati siano altamente incerti. Sia l’inflazione dei beni che quella dei servizi è stata invece più elevata del previsto: un confronto con la realtà sia per la Fed che per i mercati.

Da parte nostra, ci aspettavamo che la deflazione dei beni avrebbe spinto brevemente l’inflazione verso il 2%, prima che la crescita dei prezzi dei servizi la riportasse di nuovo al di sopra dell’obiettivo nel 2025. La nostra visione sulla dinamica dell’inflazione probabilmente è ancora valida. Ma l’impennata dei prezzi dei beni suggerisce che sarà difficile ottenere anche un calo nel breve termine. La Fed, nell’accettare che i tassi debbano rimanere alti più a lungo data la vischiosità dell’inflazione, ha anche respinto gli aumenti.

Tuttavia, la maggiore volatilità macroeconomica rende più difficile sia per i mercati che per i membri del FOMC prevedere cosa accadrà in futuro. Ecco perché ci basiamo su nuovi dati, invece che su segnali politici della Fed, per modellare la nostra visione del probabile percorso di politica monetaria.

Tassi di interesse più elevati di solito danneggiano le valutazioni delle azioni. Invece, i forti utili del primo trimestre hanno sostenuto i titoli azionari, anche se i tassi elevati e le elevate aspettative alzano il livello di ciò che può mantenere i mercati ottimisti. Secondo i dati LSEG, circa il 77% delle aziende dell’indice S&P 500 hanno battuto il consenso. I titoli tecnologici e quelli che beneficiano dell’intelligenza artificiale hanno mantenuto la loro robusta crescita, mentre anche altri settori hanno registrato una ripresa.

Considerati i dati volatili e l’incertezza della politica economica, riteniamo che i rendimenti dei titoli del Tesoro USA a lungo termine possano oscillare in entrambe le direzioni - per ora - e rimanere neutrali su un orizzonte tattico di sei-12 mesi. Nel lungo termine, è possibile invece che i rendimenti a lungo termine possano aumentare poiché gli investitori richiederanno premi maggiori a termine, o una compensazione per il rischio di detenere obbligazioni. Con il Ministero del Tesoro americano che aumenta l’indebitamento, prevediamo un aumento del debito che porterà al ritorno del premio a termine.

I tassi di interesse statunitensi elevati per un periodo prolungato non possono non avere implicazioni anche a livello globale, come in Giappone, dove lo yen è scivolato ai minimi di 34 anni rispetto al dollaro. I sospetti tentativi da parte delle autorità giapponesi di acquistare dollari potrebbero rallentarne la caduta, ma la divergenza tra la politica monetaria della Banca del Giappone e quella della Fed è la fonte della debolezza dello yen.

Per quanto riguarda l’Europa, la BCE potrebbe essere in grado di tagliare i tassi già a giugno, anche se la Fed manterrà la politica restrittiva più a lungo. L’inflazione europea si sta raffreddando ulteriormente verso il 2% e l’attività economica è debole dal 2022, nonostante un aumento a sorpresa del PIL del primo trimestre.

A livello di mercati, la crescita modesta e il contesto di utili deboli suggeriscono un sottopeso dei titoli europei. Diversamente dai titoli statunitensi, dove rimarremmo sovrappesati grazie al sostegno degli utili e delle obbligazioni neutrali a lungo termine data la continua volatilità dei rendimenti.

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