Moncler aggira i dazi di Trump con una clausola (legale) del 1988

L’azienda italiana del lusso sfrutta la “first sale rule”, una norma quasi dimenticata dell’ordinamento americano, per ridurre l’impatto delle tariffe doganali Usa, senza spostare la produzione sul suolo americano. Un esempio di strategia fiscale sofisticata in risposta al nuovo protezionismo.

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Il trucco? Calcolare i dazi doganali sulla “prima vendita” internazionale

Per ridurre l’impatto negativo dei dazi di Trump, Moncler ha deciso di utilizzare l’intelligenza legale. Il gruppo italiano del lusso ha deciso di non delocalizzare la produzione negli Stati Uniti, ma ha trovato una strada alternativa per alleggerire l’impatto tariffario: la “first sale rule”.

Si tratta di una norma doganale americana risalente al 1988, poco nota al grande pubblico ma molto apprezzata da chi commercia beni di valore elevato. Questa regola consente agli importatori statunitensi di calcolare i dazi doganali sul prezzo della “prima vendita” internazionale, ovvero il costo industriale pagato dal primo intermediario, e non su quello finale pagato dall’importatore americano. Un vantaggio tutt’altro che trascurabile nel caso di beni come i capi Moncler, dove la differenza tra il prezzo di fabbrica e il prezzo all’importazione può essere considerevole.

“Paghiamo sul 50% del prezzo intercompany”

Durante una call con gli investitori lo scorso 16 aprile, Luciano Santel, direttore generale e responsabile delle operazioni industriali e corporate del gruppo, ha dichiarato apertamente che “la first sale rule garantisce un beneficio significativo” alla struttura dei costi di Moncler. “Il costo industriale è molto più basso rispetto al prezzo retail e rappresenta circa il 50% del prezzo intercompany”, ha spiegato. In pratica, Moncler può ridurre sensibilmente i dazi su ogni capo esportato negli Stati Uniti, continuando a produrre in Europa o in Asia senza dover ricorrere a costosi investimenti produttivi in territorio americano.

L’America vale il 13% del fatturato di Moncler

La scelta è anche coerente con la strategia commerciale del gruppo: nel 2024, i ricavi realizzati nelle Americhe (in gran parte Stati Uniti) hanno raggiunto i 407 milioni di euro, pari al 13% del fatturato complessivo. Gli Usa sono un mercato importante servito attraverso una rete di negozi monomarca a New York, Los Angeles, Miami, Chicago, Boston e altre città, oltre a corner in grandi magazzini di lusso come Saks Fifth Avenue, Bloomingdale’s e Neiman Marcus. È prevista inoltre l’apertura di un flagship store sulla Fifth Avenue a New York, che sarà uno dei più grandi al mondo per il brand.

Nonostante l’esposizione al mercato Usa, Moncler ha escluso esplicitamente qualsiasi piano di produzione locale. Una scelta che avrebbe potuto comportare costi, rischi industriali e compromessi sulla qualità. Invece, l’applicazione della “first sale rule” consente di mantenere il modello produttivo e di contenere allo stesso tempo gli impatti dei dazi.

L’utilizzo di questo strumento richiede però requisiti precisi: almeno due vendite tra soggetti indipendenti, documentazione che provi il prezzo della prima vendita e la destinazione del bene agli Stati Uniti. Inoltre, è necessario che le controparti siano disposte a condividere dati sensibili, come il prezzo di fabbrica, cosa non sempre facile. Ma per aziende con una supply chain strutturata e rapporti consolidati con i fornitori, come Moncler, il vantaggio può essere enorme.

Moncler è in calo del 4% dal Liberation Day

Anche altre imprese si stanno muovendo in questa direzione. Aziende come l’americana Traeger (barbecue di fascia alta) e la biotech svizzera Kuros Biosciences hanno recentemente dichiarato di voler adottare la stessa regola per mitigare l’impatto dei dazi.

La normativa, sebbene pienamente legale, mina parzialmente gli obiettivi della politica commerciale di Trump, che punta a riportare la produzione negli Stati Uniti e a generare maggiori entrate tariffarie. La Casa Bianca, interpellata da CNBC, non ha rilasciato commenti sull’utilizzo della “first sale rule”.

Nel frattempo, il titolo Moncler quota oggi 55 euro, in calo del 4% rispetto al 2 aprile, il cosiddetto Liberation Day, ovvero il giorno in cui Trump ha annunciato i dazi “reciproci” con l’Europa.

Da inizio anno il titolo è in rialzo dell’8% e capitalizza 15 miliardi di euro. Il consensus degli analisti stima per il 2025 ricavi per 3,2 miliardi (+3,2%) e un utile netto di 656 milioni (+2%). Su queste stime, Moncler è scambiata oggi in Borsa a 22 volte gli utili futuri.

Su 24 analisti, nove consigliano di acquistare le azioni, mentre 14 mantengono una posizione neutrale. Il target price medio è 63 euro, con un potenziale rialzo del 15%.

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Codice: MONC.MI
Isin: IT0004965148
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