Non importa se ti muovi piano, l’importante è che non ti fermi (Confucio).


Potremmo essere entrati nella re-globalizzazione e questo comporterà nel tempo un mondo a più bassa produttività e redditi più bassi


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M3 dell’Europa YoY di giugno alle 10:00 (stima 5,4% contro 5,6% di maggio) e ordini di beni durevoli USA MoM di giugno alle 14:30 (stima -0,3% contro 0,7% di maggio).

Nel recente meeting dei governatori delle banche centrali a Sintra, Powell ha sostenuto che il covid prima e la guerra in seguito abbiamo accelerato la fine della globalizzazione. In altre parole, potremmo essere entrati nella re-globalizzazione e questo comporterà nel tempo un mondo a più bassa produttività e redditi più bassi.

E’ un fatto che le aziende stiano valutando se le loro catene di approvvigionamento debbano essere accorciate e rafforzate, ma non è ancora del tutto chiaro quanto accadrà e quali saranno le implicazioni economiche e finanziarie.

Gli ha fatto eco la Lagarde, affermando che l’allontanamento dal mondo della prevenzione dell’inflazione negli anni 2000 costringerà le banche centrali a dimostrare la capacità di rispondere rapidamente ai dati ad un ritmo accelerato rispetto al passato e soprattutto in un panorama di cambiamenti geopolitici ed economici.

Forse per la prima volta dalla seconda guerra mondiale il mondo sta vivendo una situazione di paura mista all’incertezza che il conflitto possa estendersi, minando alla radice le nostre certezze. L’Europa per esempio si è scoperta di colpo debole sia sotto il profilo politico (non sembra infatti in grado di risolvere il conflitto), sia sotto quello economico, visto che un paese (la Russia) la cui potenza industriale e il PIL sono un infinitesimo di quello Europeo, tiene da oltre tre mesi 27 paesi sotto scacco.

La fine probabile fine della globalizzazione che ha sostenuto la crescita economica mondiale degli ultimi decenni, non vuol dire che i governi delle prime 4 economie Europee (Italia, Germania, Francia e Spagna) e quella USA non possano per esempio concordare iniziative necessarie per cercare di risolvere le drammatiche necessità economiche dalla guerra.

Questi sono chiamati quanto prima a consolidare una concreta e stretta cooperazione politica ed economica: di fronte alle minacce di Putin occorre unire le forze e non disperderle. Il rischio è che le divisioni tra paesi sovranisti ed europeisti possa portare alla rapida frantumazione dell’Unione Europea (della quale gli USA non avrebbero vantaggi economici), perché questa volta il whatever it takes non funzionerebbe.

Guardiamo i dati, che dicono che sia gli USA che l’Europa potrebbero entrare ancora una volta in recessione: le economie si trovano di fronte ad una crisi energetica e inflazionistica, i debiti crescono, la disoccupazione aumenta e molte imprese sono a rischio fallimento.

In questa situazione il ritorno per esempio del fiscal compact in Europa (come più volte invocato dai falchi dell’Unione) affonderebbe definitivamente l’economia. L’Europa è quindi storicamente di fronte a un bivio.

Molto più nel breve, occorre invece definire un compromesso che metta fine alla guerra in Ucraina. Il cambiamento dei rapporti di forza politici ed economici mondiali imporrà anche come inderogabili alcuni interventi. Tra questi ci sentiamo di suggerirne alcuni:

  1. la BCE dovrebbe modificare il suo target di inflazione al 2%, ormai irrealistico;
  2. nonostante la crescita dei prezzi la BCE non dovrebbe attuare manovre troppo restrittive, perché l’inflazione è quasi interamente da costi e non da domanda. Forti strette monetarie strozzerebbero infatti la fragile ripresa economica, riducendo solo di poco la crescita dei prezzi;
  3. i tassi di interesse reale dovrebbero rimanere negativi il più a lungo possibile, favorendo l’investimento privato nell’economia reale;
  4. la BCE dovrebbe assorbire il debito degli stati conseguente all’aumento dei prezzi dell’energia, senza la paura di aumentare ulteriormente il suo bilancio;
  5. la BCE dovrebbe decidere di cancellare i debiti degli stati presenti nel suo bilancio, come proponeva l’ex Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e come tra l’altro propongono 100 autorevoli economisti in Europa e in Italia, in modo da ridare “fiato fiscale” ai governi e agevolare così gli investimenti pubblici, indispensabili per la ripresa. La cancellazione dei titoli di debito acquistati dalla BCE (un quarto circa dei debiti complessivi degli stati dell’eurozona) non comporterebbe nessun danno per il settore privato e neppure un trasferimento di risorse tra gli stati;
  6. la Commissione dovrebbe promuovere programmi di investimento comuni per l’autonomia energetica da fonti rinnovabili. Le risorse in campo (pubbliche e private) potrebbero essere superiori a 1.000 miliardi di euro;
  7. la Commissione dovrebbe deliberare un nuovo fondo fiscale comune e permanente basato su una filosofia analoga a quella del Next Generation EU, di ammontare pari ad almeno il 10% del PIL (circa 1.700 miliardi di euro);
  8. cancellazione del fiscal compact, adottando invece la golden rule, ovvero permettere ai singoli stati di investire per la crescita anche ricorrendo a deficit.

Qualcosa si sta muovendo in questa direzione e vogliamo essere ottimisti. Guardiamo quindi con fiducia agli investimenti in Europa che, lo ricordiamo è all’avanguardia nel mondo in tutti i settori manifatturieri e industriali.

Largo quindi agli investimenti nei titoli di quelle società interessate dagli investimenti del NGeu (che magari verrà pure ampliato), continuando a privilegiare in particolare quelle imprese che operano nel settore della digitalizzazione di prodotto e di processo, della cyber security, della trasmissione di dati su rete fissa e/o mobile.

E tutte le imprese la cui attività riguarda la rivoluzione verde, da quelle locali a quelli nazionali, senza dimenticare tutte quelle che operano nel settore delle infrastrutture e della cura alla persona

Antonio Tognoli

Responsabile Macro Analisi e Comunicazione

Corporate Family Office SIM S.p.A.

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