Nuova fiammata del petrolio dopo la decisione dell’Opec+

Otto dei ventidue Paesi aderenti all’organizzazione hanno deciso di estendere a dicembre i tagli alla produzione già decisi in passato e sui prezzi del greggio pesano anche i timori di un allargamento del conflitto in Medio Oriente.
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Petrolio in crescita
Mattinata tra gli acquisti per il petrolio dopo la decisione dell’Organizzazione dei produttori e dei suoi alleati (Opec+) arrivata ieri sull’estensione a dicembre dei tagli all’output, a cui si aggiungono le tensioni geopolitiche e le prospettive di rallentamento dell’economia mondiale, soprattutto in USA e Cina.
Il Brent torna sopra i 72 dollari al barile di venerdì scorso e tocca un massimo di 74,93 dollari, mentre il greggio WTI scambia oltre quota 71 dollari, entrambi in crescita superiore al 2%. Nonostante la fiammata di oggi la crescita di venerdì scorso (+1%), il greggio sta ancora cedendo il 4% rispetto ai livelli toccati ad inizio ottobre.
L’Opec+ proroga i tagli
Alla fine della riunione di ieri, i Paesi membri dell’Opec+ hanno annunciato l’estensione dei tagli alla produzione fino alla fine di dicembre con l’obiettivo di affrontare il ribasso dei prezzi delle scorse settimane. In particolare, 8 dei 22 Paesi aderenti all’organizzazione hanno concordato di “estendere di un mese i loro tagli volontari alla produzione di un totale di 2,2 milioni di barili al giorno”. I tagli erano stati decisi da Arabia Saudita, Russia, Algeria, Iraq, Kazakistan, Kuwait, Oman ed Emirati Arabi Uniti.
Fermata, dunque, la precedente decisione di avviare l’aumento della produzione mensile di 180 mila barili al giorno che sarebbe dovuta iniziare il prossimo mese, arrivando così a ripristinare un output da 2,2 milioni di barili al giorno, livello non più raggiunto negli ultimi due anni.
Prospettive incerte sui prezzi
L’annuncio di ieri rappresenta “il passo logico successivo della persistente pressione al ribasso sui prezzi del petrolio dovuta alla lenta domanda cinese e all'indebolimento delle prospettive di domanda globale, e all'ampia offerta non Opec", spiega Ipek Ozkardeskaya, analista senior presso Swissquote Bank, secondo la quale una crescita duratura dei prezzi del greggio resta “improbabile” qualora l’Organizzazione "non prenda ulteriori misure per limitare la produzione". In ogni modo, aggiunge l’esperta, “la loro strategia di riduzione dell’output non ha portato a un aumento sostenibile dei prezzi del petrolio", aggiungendo che l’Opec ora rappresenta “meno della metà della produzione petrolifera globale”.
"Sebbene il posticipo fino a gennaio non modifichi significativamente i fondamentali, lascia potenzialmente il mercato costretto a riconsiderare la strategia dell'Opec+", hanno affermato gli analisti di ING in una nota.
Guerra, economia ed elezioni
Il balzo arrivato venerdì era dovuto alle notizie circa un possibile attacco dell’Iran contro Israele in risposta all’operazione militare israeliana del 26 ottobre, diffondendo timori di un allargamento del conflitto che potrebbe colpire le forniture di greggio provenienti da questa regione. Secondo quanto riferito dall’intelligence israeliana, Teheran starebbe preparando un attacco dal territorio iracheno e potrebbe colpire già nei prossimi giorni.
Un sostegno ai prezzi era arrivato anche dallo stato di salute dell’economia in Cina e USA, in particolare dai dati sull’attività manifatturiera cinese di ottobre, con l'indice PMI Caixin/S&P Global salito a 50,3 punti dai 49,3 del mese precedente. Notizie positive anche dagli Stati Uniti, dove il PMI manifatturiero è aumentato a 48,5 punti dai 47,8 della stima preliminare, anche se non ha superato la soglia chiave dei 50 punti.
Infine, attenzione ai risultati delle elezioni presidenziali USA attesi domani notte che potrebbero avere un impatto significativo sul mercato petrolifero. "Non sono così sicuro di chi preferirebbe l'Opec, ma una guerra commerciale significherebbe una domanda inferiore" secondo Jorge Leon, analista di Rystad Energy, ritenendo “probabile” una guerra commerciale in caso di vittoria di Donald Trump nei confronti di Kamala Harris.
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