Opec+ in affanno, ma Ubs e Goldman confermano che il greggio salirà


L’ultimo vertice del cartello è stato un sostanziale fallimento: dopo un calo del 13% delle quotazioni in due mesi, non c’è stato l’accordo per ridurre la produzione, solo impegni volontari di singoli Paesi. Le due banche vedono un 2024 con prezzi in crescita.


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Il sostanziale fallimento del vertice Opec+ di giovedì 30 novembre non toglie la speranza degli investitori di vedere di nuovo il prezzo del petrolio salire, nonostante gli impegni presi dai Paesi del cartello per ridurre la produzione diano la sensazione di essere scritti sulla sabbia.

Brent (81 dollari al barile) e Wti (76 dollari) oggi sono sostanzialmente invariati rispetto a ieri su quotazioni ormai scese agli stessi livelli di inizio dell’anno. Negli ultimi due mesi il prezzo del barile è sceso del 13% a causa soprattutto dei timori di rallentamento dell’economia in Cina.

QUOTAZIONI DEL WTI DALL’INIZIO DELL’ANNO

Arabia Saudita alla guida dei tagli

Giovedì il cartello petrolifero ha rilasciato una dichiarazione che non approva formalmente i tagli alla produzione, ma i singoli Paesi hanno annunciato riduzioni volontarie per un totale di 2,2 milioni di barili al giorno per il primo trimestre del 2024.

A guidare i tagli è il membro più importante dell’Opec, l'Arabia Saudita. Riad ha accettato di estendere il suo taglio volontario di produzione di 1 milione di barili al giorno - in vigore da luglio - fino alla fine del primo trimestre del 2024. La Russia ha dichiarato che taglierà l'offerta di 300.000 barili al giorno di greggio e 200.000 barili al giorno di prodotti raffinati nello stesso periodo.

Ci sono poi le riduzioni minori di produzione annunciate da Iraq (-223mila barili al giorno), Emirati arabi uniti (-163mila), Kuwait (-135mila), Kazakhstan (-82mila), Algeria (-51mila) e Oman ( -42mila). Secondo il comunicato diffuso ieri dall’Organizzazione, in tutto si arriva a tagli complessivi per 2,2 milioni, ma in realtà, come sottolineano molti osservatori, la riduzione vera di output non supera i 700.000 barili al giorno, tenuto conto che l’Arabia Saudita ha semplicemente rinnovato un impegno che è già in vigore da quattro mesi.

Contestazioni dall'Angola

Insomma, di fronte a prezzi in calo, i Paesi aderenti al cartello fanno fatica a trovare la disciplina e spartirsi i sacrifici per sostenere le quotazioni. Addirittura emergono contestazioni esplicite della politica del cartello, come nel caso dell’Angola, che solo poche ore dopo la diffusione del comunicato dell’Opec ha annunciato che “produrrà più della quota determinata dall’Opec” di 1,1 milioni di barili al giorno. “Non è questione di disobbedire all’Opec – ha detto il governatore Estevao Pedro –. Abbiamo presentato la nostra posizione e l’Opec dovrebbe tenerne conto”. Ubs si aspetta un aumento dei prezzi in un mercato petrolifero sotto-alimentato.

Analogamente, Goldman Sachs prevede un aumento dei prezzi, adottando un approccio attendista sull’adesione dei membri dell'Opec+ ai tagli proposti. Goldman si aspetta che il gruppo “possa mantenere i prezzi del petrolio Brent nell'intervallo 80-100 dollari nel 2024”.

Entra il Brasile

A favore di un possibile recupero delle quotazioni gioca la principale novità emersa ieri, ovvero l’ingresso nell’Opec+ del Brasile. Il Paese sudamericano vanta già adesso una produzione di greggio di 3,7 milioni di barili al giorno, che lo piazza al quarto posto fra i Paesi del cartello alle spalle di Arabia Saudita, Russia e Iraq. Inoltre, grazie a importanti investimenti (effettuati con diversi partner stranieri) l’output brasiliano sta crescendo a ritmi velocissimi, in linea con l’obiettivo di arrivare a ben 5,4 milioni di barili di capacità a fine decennio.

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