Pechino rivela le condizioni per aprirsi al dialogo commerciale con gli Usa

La Cina è pronta a riaprire il tavolo dei negoziati con gli Stati Uniti, ma impone condizioni chiare: fine delle dichiarazioni ostili, coerenza nella linea politica americana e un referente con pieno mandato da Trump. La posta in gioco? Evitare una guerra commerciale che minaccia i mercati globali.

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La Cina chiede rispetto, chiarezza e un referente diretto

Pechino detta le condizioni: per riaprire il dialogo commerciale con Washington, la Cina chiede rispetto, coerenza e un interlocutore diretto con pieni poteri da parte della Casa Bianca.

La reazione dei mercati è stata immediata: lo yuan offshore è salito dello 0,3% contro il dollaro, mentre il dollaro australiano, valuta considerata indicativa per l’Asia, è avanzato dello 0,5% rispetto al biglietto verde. Anche i futures dell’S&P 500 hanno ridotto le perdite, passando da -1,6% a -0,6%.

Secondo fonti vicine al governo cinese riportate da Bloomberg, l’amministrazione Trump dovrà compiere alcuni passi concreti prima che la Cina accetti di riavviare i colloqui. Primo fra tutti, moderare i toni di alcuni membri del governo statunitense, i cui commenti giudicati offensivi stanno ostacolando ogni possibilità di confronto. Tra le condizioni elencate ci sono anche una maggiore chiarezza nella posizione americana in politica estera ed economica, e una disponibilità a discutere temi centrali per la Cina come le sanzioni economiche e la questione di Taiwan.

Pechino chiede inoltre che venga nominato un referente unico per i negoziati, una figura di fiducia del presidente Trump che possa guidare i lavori preparatori in vista di un possibile vertice tra il leader statunitense e il presidente cinese Xi Jinping. L’obiettivo, per entrambe le parti, è evitare un’escalation commerciale che metterebbe a rischio gli equilibri economici globali.

L’urgenza è evidente: finora Trump ha imposto tariffe su gran parte dei beni importati dalla Cina, con impatti significativi sugli scambi commerciali bilaterali. La risposta di Pechino non si è fatta attendere, alimentando un clima di tensione crescente tra le due superpotenze.

Guerra dei chip e questione Taiwan

Un ulteriore fattore di tensione è stato il recente commento del vicepresidente americano JD Vance, che ha definito i contadini cinesi “peasants”, un’uscita giudicata “ignorante e irrispettosa” dal ministero degli esteri cinese. Sebbene non siano stati menzionati nomi specifici dalle fonti riportate da Bloomberg, l’episodio ha rafforzato l’idea, a Pechino, che l’attuale amministrazione americana non abbia una linea coerente nei confronti della Cina.

Tra le principali preoccupazioni cinesi vi è la percezione che gli Stati Uniti stiano portando avanti una politica di contenimento nei confronti della modernizzazione tecnologica del Paese. Un esempio recente è il divieto imposto a Nvidia di vendere il chip H20 sul mercato cinese, una mossa vista da Pechino come un’escalation nella guerra tecnologica in corso.

Infine, la questione di Taiwan resta un punto critico. Sebbene la Cina non intenda adottare iniziative provocatorie, ribadisce che risponderà a eventuali azioni ostili. Per questo, secondo la visione di Pechino, è necessario che le trattative vengano guidate da figure ufficiali designate dai due presidenti, in grado di garantire un confronto costruttivo e preparare il terreno per un vertice realmente produttivo tra Trump e Xi.

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