Petrolio, è il giorno del price cap e dell’embargo alle forniture russe

Petrolio, è il giorno del price cap e dell’embargo alle forniture russe

I 27 paesi dell’UE hanno deciso un prezzo massimo da 60 dollari al barile per il greggio di Mosca rispetto alle quotazioni attuali di circa 65 dollari del petrolio degli Urali, mentre dalla Russia minacciano di non rispettare il price cap.

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Embargo al petrolio russo

Giornata importante per il petrolio viste l’entrata in vigore delle decisioni dell’Unione europea e del G7 sul petrolio russo, tra embargo e tetto al prezzo massimo.

Oggi entra in vigore il blocco europeo alle forniture via mare provenienti dalla Russia, seguita da quello sui raffinati previsto per il 5 febbraio, attesi bloccare circa il 94% del greggio di Mosca destinato al Vecchio Continente.

Le sanzioni dell’Unione europea si applicano all’interno del territorio della comunità e ai suoi cittadini in qualsiasi luogo, alle società e alle organizzazioni costituite secondo la legge di uno Stato membro, comprese le filiali di società dell’UE in Paesi terzi, oltre ad aeromobili o navi sotto la giurisdizione dei membri.

Il divieto di trasporto si applica a tutte le navi battenti bandiera UE, nonché alle navi di proprietà, noleggiate e/o gestite da società o cittadini dell’Ue, compresi anche gli agenti che agiscono per loro conto.

Il price cap

Il Consiglio dei 27 paesi dell’Unione europea ha deciso un tetto massimo di 60 dollari al barile per la commercializzazione via mare del greggio russo verso Paesi terzi.

In particolare, il meccanismo prevede il divieto di operatori, europei o altri paesi, di usare servizi marittimi europei (trasporti, assicurazioni, finanziamenti, intermediazioni), qualora il greggio dovesse essere venduto ad un prezzo superiore al massimo fissato.

Il ‘cap’ non è fisso, ma è regolabile in quanto punta a rispondere agli sviluppi del mercato (sarà rivisto ogni due mesi) anche se il target resta sempre del 5% al di sotto dei prezzi correnti, perché l’obiettivo europeo non è intervenire sulle quotazioni del petrolio, ma di ridurre le entrate russe destinate al finanziamento della guerra in Ucraina.

Previsto un periodo di transizione di 45 giorni per il petrolio russo, ma questo comprende le forniture caricate via mare prima del 5 dicembre 2022 e scaricato nel porto di destinazione finale prima del 19 gennaio 2023.

Il tetto, concordato con il G7 a l’Australia, dovrebbe avere un peso importante, in quanto “la Russia dipende dai servizi vari legati al G7+, come trasporto, assicurazioni o finanziamenti, per muovere 1 milione di barili al giorno”, spiegava un alto funzionario UE, pertanto “sarà difficile per loro trovare alternative nel breve-medio termine”.

Le reazioni

I prezzi del petrolio tornano a salire questa mattina e il greggio WTI supera nuovamente quota 80 dollari, mentre il Brent viene scambiato sopra gli 86 dollari al barile.

L’accoglienza ucraina alla decisione del price cap è stata fredda, in particolare da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo il quale “il mondo ha mostrato debolezza fissando il tetto a quel livello”.

Da parte russa il vice primo ministro russo, Alexander Novak ha definito il price cap una “grave interferenza che contraddice le regole del libero mercato”. “Stiamo lavorando su meccanismi che vietino l’uso dello strumento del price cap, a prescindere dal livello fissato, perché tale interferenza potrebbe destabilizzare ulteriormente il mercato”, dichiarava Novak.

Le decisioni dell’Opec

Ieri, intanto, l’Opec+ ha confermato gli attuali livelli di produzione di petrolio alla fine della riunione tenutasi ieri in videocollegamento.

I produttori hanno preso questa decisione alla luce dei timori legati alla guerra in Ucraina e per le relative conseguenze sull’economia globale, oltre alla situazione in Cina ancora condizionata dalle politiche ‘zero-Covid’ e alle sanzioni contro il gas russo.

Si tratta di una decisione “ampiamente prevista” secondo Giovanni Staunovo, analista di UBS, vista “l’incertezza sull’impatto sulla produzione di greggio russo”.

Attualmente, infatti, il petrolio russo è quotato intorno ai 65 dollari, appena sopra il tetto dei 60 dollari, pertanto l’effetto dovrebbe essere limitato nel breve termine.

Anche “un certo allentamento” delle rigide restrizioni sanitarie in Cina “ha influito sulla decisione dell’Opec+”, continua Staunovo, che probabilmente “mitigherà le preoccupazioni del mercato”.

La Cina è il primo importatore di greggio al mondo, pertanto ad ogni segnale di rallentamento dell’economia o di ritorno dell’epidemia condizionano direttamente i prezzi del petrolio.

L’Opec+, quindi, ha scelto la cautela e nei prossimi mesi l’alleanza potrebbe “adottare una posizione più aggressiva” in segno di avvertimento all'Occidente, che si sta “infuriando” per la regolamentazione dei prezzi del cartello, prevede Edoardo Campanella, analista di UniCredit.

Questo scenario, prevede l’esperto, potrebbe “aggravare la crisi energetica globale” ed irritare Washington, i cui sforzi diplomatici per convincere Riad ad abbassare i prezzi “sono per il momento andati a vuoto”.

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