Il petrolio resiste alle contromosse di Putin sul price cap
Dopo il tetto massimo di 60 dollari imposto al petrolio russo dai paesi occidentali, Putin aveva firmato ieri un decreto per vietare le esportazioni del greggio di Mosca ai paesi aderenti al price cap.
Petrolio in calo
La guerra dell’energia tra Russia e i paesi alleati dell’Ucraina prosegue e questa volta è il turno della Russia a rispondere alla decisione di imporre un price cap al prezzo del petrolio di Mosca, ma l’effetto sui prezzi sembra molto limitato.
Con le quotazioni del petrolio russo nettamente sotto i 60 dollari decisi quale tetto massimo dall’accordo tra UE, G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e Australia, il giorno dopo la mossa di Putin il WTI cede l’1% e scende sotto i 79 dollari, mentre il Brent è scambiato a 83,90 dollari al barile.
Molto più incisiva sull’andamento delle quotazioni del greggio erano apparse ieri le mosse del governo cinese per allentare le restrizioni anti Covid, alimentando le speranze di una ripresa della domanda e spingendo i prezzi ai massimi da tre settimane.
Il bilancio del 2022 del WTI e del Brent è positivo tra il +5% e il +8%, se espresso in dollari, mentre si amplia a +12/+15% se espresso in euro.
“A marzo, quando scoppiò il conflitto con l’Ucraina, il prezzo del Brent era arrivato a guadagnare il +70%”, ricordano da WebSim.
La mossa di Putin
Ieri il presidente russo firmava il decreto con il quale veniva deciso il blocco delle esportazioni di petrolio e prodotti petroliferi verso i paesi che aderiscono al price cap a partire dal primo febbraio e valido fino al primo luglio 2023.
“La fornitura di petrolio a persone giuridiche e fisiche straniere è vietata se i contratti per tali forniture direttamente o indirettamente utilizzano un prezzo massimo”, si legge nel decreto.
La misura, spiegavano da Mosca, è stata adottata in connessione “con azioni ostili e contraddittorie del diritto internazionale degli Stati Uniti e di stati stranieri e organizzazioni internazionali che si uniscono a loro e allo scopo di salvaguardare gli interessi nazionali russi”.
Il price cap
Ai primi di dicembre era stato fissato un tetto massimo al prezzo del petrolio con il fine di privare Mosca di una delle principali fonti di finanziamento della guerra contro l’Ucraina.
Il meccanismo prevedeva l’imposizione del price cap ai prezzi del greggio venduto dalla Russia a paesi terzi, in aggiunta all’embargo UE, con l’eccezione del petrolio proveniente via oleodotto.
Pertanto, la misura permette di spedire il greggio russo utilizzando petroliere, istituti di credito o compagnie di assicurazione del G7 e UE solo nel caso in cui il carico verrà acquistato ad un prezzo pari o inferiore al tetto massimo stabilito.
La view degli analisti
Gli analisti di WebSim sottolineano che il limite imposto “è vicino all'attuale prezzo del petrolio russo (circa 56 dollari), ma lontano dal prezzo che la Russia è stata in grado di applicare quest’anno”.
“Un’interruzione delle vendite del secondo più grande esportatore di petrolio al mondo avrà probabilmente conseguenze sull’approvvigionamento energetico globale”, aggiungono dalla sim.
Alcuni analisti ipotizzano “che il limite avrà un impatto immediato sulle entrate petrolifere di Mosca, ma il ministro delle finanze ha affermato che il deficit della Russia potrebbe essere più ampio del previsto 2% del PIL durante il 2023”, concludono da WebSim.
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