Pil Usa sotto le attese, inflazione sopra


I dati macro Usa aprono nuovi dubbi sul percorso dell'economia e dell'inflazione. Una crescita del Pil meno baldanzosa delle attese sarà in grado di rallentare l'inflazione? E la correzione che abbiamo visto sui mercati è l'inizio di una recessione o è transitoria?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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DATI MACRO

M3 YoY di marzo dell’Europa in uscita oggi alle 10:00 (stima +0,5% contro +0,4% di febbraio) e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di aprile (stima 77,8 punti contro 79,4 di marzo) e i dati di PCE USA MoM di marzo (stima 0,3% in linea con il dato di febbraio).

Ieri la stima preliminare del PIL del 1Q24 USA è risultato decisamente inferiore alle stime (+1,6% contro +2,5% atteso) e di quello del 4Q23, pari al +3,4%. La seconda e più precisa stima, basata su dati più completi, sarà pubblicata il 30 maggio 2024. In ogni caso l’economia USA ha cominciato a rallentare, segnale la politica monetaria restrittiva comincia ad avere effetti sull’economia reale. Le attese della Fed sono che ricominci ad averne anche sull’inflazione.

Rispetto al 4Q23, la decelerazione del PIL reale ha riflesso principalmente quella della spesa al consumo, delle esportazioni e della spesa pubblica statale e locale, nonché una flessione della spesa del governo federale. Questi movimenti sono stati in parte controbilanciati da un’accelerazione degli investimenti fissi residenziali. Le importazioni hanno accelerato. Il PIL in dollari attuali è aumentato del 4,8% YoY, ovvero di 327,5 miliardi di dollari nel primo trimestre, raggiungendo un livello di 28,28 trilioni di dollari. Nel quarto trimestre, il PIL era aumentato del 5,1%, pari a 346,9 miliardi di dollari.

In contrazione le richieste di sussidi settimanali alla disoccupazione (207k contro 214k attesi e 212k della scorsa settimana). In forte crescita la vendita delle case in corso di marzo (+3.4% contro +0,3% atteso e +1,6% di febbraio).

I dati PCE di marzo di oggi arrivano dopo i rapporti sull'indice dei prezzi al consumo (CPI) e sull'indice dei prezzi alla produzione (PPI) più caldi del previsto già pubblicati per il mese. C'è qualche speranza che il PCE possa essere più mite, in parte a causa delle fluttuazioni del PPI e anche perché è meno focalizzato sugli alloggi. L'indice dei prezzi al consumo, che ultimamente ha attirato così tanta attenzione del mercato e della Fed, è stato gonfiato principalmente dall'aumento dei costi degli affitti e delle assicurazioni. Il consenso, come abbiamo visto, è dello 0,3% sia per il PCE che per il PCE core su base mensile (0,3% rispettivamente anche a febbraio). Il core esclude la volatilità dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari. Su base annua la previsione è che i due PCE crescano entrambi del 2,6% (2,8% e 2,5% in febbraio rispettivamente).

Considerato che l'inflazione rappresenta una delle principali preoccupazioni, occorre tenere d’occhio anche il deflatore del PIL, che è aumentato dell'1,7% nel quarto trimestre. Gli analisti si aspettano che tale variazione (che, come noto, misura il costo di tutti i beni e servizi finali prodotti a livello nazionale in tutta l’economia), aumenti del 3% nel primo trimestre.

Le stime di mercato del deflatore del PIL sono in rialzo da settimane sulla base di dati economici robusti, giocando con le aspettative secondo cui la Fed potrebbe aspettare più a lungo per tagliare i tassi. Nonostante i tassi più alti più a lungo, il modello GDPNow della Fed di Atlanta prevede che nel 2024 il PIL cresca ad un tasso annuo destagionalizzato del 2,9%, non molto al di sotto della lettura finale del quarto trimestre del 3,4%.

IL CALO DEGLI INDICI E' DA CONSIDERARSI TEMPORANEO?

I mercati hanno visto il 2024 come un anno di due storie. In primo luogo, il raffreddamento dell’inflazione e la solidità degli utili societari hanno sostenuto una propensione al rischio positiva. Più tardi, la ripresa dell’inflazione ha invece sconvolto il sentiment. Ovvio quindi che gli investitori, di fronte ad una ripresa dell’inflazione soprattutto nei servizi primari, sostenuta dalla solida crescita dei salari, si chiedano quanto la crescita dell’inflazione sia da considerarsi transitoria. Parallelamente si chiedono anche se possa essere considerato transitorio anche il calo degli indici azionari.

Non è ovviamente cosa facile rispondere alle due domande. Possiamo però considerare se un pullback possa trasformarsi in un contesto di mercato ribassista profondo o prolungato (tipicamente con perdite del 20% o superiori) oppure no.

Non riteniamo probabile una flessione nell’intorno del 20%. Per affermarlo occorre rifarsi allo scenario economico che rimane abbastanza solido, supportato da una domanda dei consumatori resiliente e da un mercato del lavoro sano. Da aggiungere come argomentavamo qualche giorno fa, che i mercati ribassisti tendono a verificarsi quando l’economia è in recessione (o entra in recessione) o quando le banche centrali aumentano i tassi. Non vediamo all’orizzonte nessuna di queste condizioni.

La durata e l’entità di qualsiasi correzione sono difficili da prevedere. Riteniamo comunque che gli investitori possano prendere in considerazione l’utilizzo di questo periodo di volatilità per riequilibrare, diversificare e utilizzare la media del costo in dollari per aggiungere gradualmente investimenti di qualità ai portafogli a prezzi migliori, prima di un potenziale periodo di ripresa in parte guidato da tassi più bassi nel prossimo anno.

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