Powell in un bivio a Jackson Hole, il post sarà rally o correzione?

Il simposio di Jackson Hole è diventato negli ultimi quindici anni un punto di svolta per i mercati globali. Dai programmi straordinari di Bernanke al nuovo approccio di Powell, passando per le transizioni guidate da Janet Yellen, ogni edizione ha lasciato un segno preciso. Ecco le dinamiche che hanno scandito le mosse della Fed, offrendo una chiave di lettura per il discorso di Powell dell’edizione 2025 atteso il 22 agosto.
Indice dei contenuti
Quindici anni di parole
È ormai imminente l’appuntamento clou di agosto per i mercati finanziari. Domani sera prenderà il via a Jackson Hole, in Wyoming, il tradizionale Simposio annuale di politica economica organizzato dalla Fed di Kansas City. Gli occhi degli investitori saranno puntati sul discorso di Jerome Powell, attuale numero uno della Fed, atteso venerdì 22 agosto.
Guardando ai dati raccolti da eToro negli ultimi quindici anni, emerge con chiarezza un pattern. In media, spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro, l’S&P 500 si presenta al simposio già con un guadagno del 7%, con una mediana del 7,8%. Durante l’evento, la variazione è invece marginale: appena +0,23% in media, mediana identica, un segnale che la giornata stessa di Jackson Hole raramente segna la rotta decisiva. È il periodo successivo, fino a fine anno, la vera arena: qui la performance media è +4,9%, con una mediana del +4,7%.
Ma le statistiche celano forti differenze cicliche. Nei periodi accomodanti, sottolinea Debach, Jackson Hole ha amplificato i rialzi, con esempi lampanti come il +20% del 2010 sotto il QE2, l’+11% del 2013 con il QE3, il +12% del 2019 e oltre il +7% nel 2020 e nel 2023. Nei momenti di politica restrittiva, l’effetto è stato opposto: -13,4% nel 2018 e -4,7% nel 2022, a dimostrazione che il simposio riflette e rilancia la direzione impressa dalla banca centrale.
I volti e i messaggi di Jackson Hole
Dietro le medie ci sono i protagonisti che hanno segnato i diversi passaggi. eToro ricorda come dopo la crisi finanziaria Ben Bernanke trasformò Jackson Hole in un momento di svolta: nel 2010 aprì la porta al QE2, ribaltando mercati in rosso, e nel 2012 difese i programmi straordinari preparando il QE3. Con Janet Yellen, il simposio divenne un laboratorio di analisi: nel 2014 sottolineò che la disoccupazione non bastava a misurare la solidità del lavoro; nel 2016 segnò l’avvio della normalizzazione dei tassi; nel 2017 difese le riforme post-crisi. Con Jerome Powell il tono cambiò: nel 2018 introdusse la metafora delle “stelle scorrevoli” per rappresentare l’incertezza delle variabili guida; nel 2019 mise in guardia sui limiti della politica monetaria, in un contesto già agitato dalle tensioni commerciali.
Il 2020 fu il punto di svolta storico: in piena pandemia, Powell lanciò l’average inflation targeting e una nuova idea di occupazione “ampia e inclusiva”. Inizialmente interpretato come segnale di debolezza, quel messaggio divenne uno dei pilastri della fase rialzista successiva. Nel 2021, la Fed sottovalutò l’inflazione “transitoria”, mentre il 2022 segnò il cambio di rotta restrittivo: Powell parlò di agire “forcefully”, evocando il dolore necessario per famiglie e imprese. L’S&P 500 perse oltre il 3% in un solo giorno e proseguì la correzione. Nel 2023, il linguaggio si fece più cauto, con l’immagine di “navigare tra le stelle sotto cieli nuvolosi”. Nel 2024, invece, il tono si ammorbidì: inflazione in calo, mercato del lavoro meno tirato, apertura a tagli dei tassi. La reazione dei mercati fu un ritorno al risk-on.
L'edizione 2025 tra attese e segnali contrastanti
L’anno in corso presenta un quadro intermedio. Lo S&P 500 mostra un +9,6% dall’inizio dell’anno: non l’euforia del +17,8% del 2024 o del +19,7% del 2021, ma una performance solida, in linea con la media storica pre-simposio. In passato, con guadagni simili – come nel 2016 (+6,4%), nel 2017 (+9,2%) o nel 2020 (+7,8%) – il “dopo” è stato positivo, rispettivamente con +2,7%, +9,4% e +7,1%. Ma la storia offre anche l’opposto: nel 2018, con un prima simile al +7%, la chiusura d’anno segnò un -13,5%. Debach mette in guardia: il punto di partenza non garantisce il risultato finale.
Il contesto macroeconomico rende la sfida più complessa. Nel secondo trimestre il Pil è cresciuto del 3%, ma soprattutto grazie agli 88 miliardi di dollari di spesa in intelligenza artificiale e data center da parte delle big tech, non ai consumi delle famiglie. Il mercato del lavoro rallenta: a luglio sono stati creati 73 mila nuovi posti, con una media trimestrale di 35 mila, ritmi compatibili con fasi pre-recessive. L’inflazione segna un 2,7% headline e 3,1% core, con i dazi che al momento non hanno generato le attese pressioni sui prezzi, anche se le letture recenti dei prezzi alla produzione invitano alla prudenza.
Powell, prima delle ultime revisioni sui dati del lavoro, aveva descritto l’economia come “solida”, con un mercato del lavoro “in equilibrio” e una politica “moderatamente restrittiva”. Un linguaggio attendista, da wait and see, che lascia spazio a flessibilità ma senza anticipare mosse premature.
Le attese del mercato e il bivio della Fed
La percezione degli investitori è chiara: non si aspettano tagli aggressivi. Il CME FedWatch assegna oltre l’80% di probabilità a un taglio di 25 punti base a settembre, con la curva che sconta due mosse complessive entro fine anno, nulla di più. Come spiega Debach, è una traiettoria lineare, che riflette un’economia resiliente e un’inflazione in calo ma non ancora domata. Eppure, voci come quella di Scott Bessent invocano tagli da 50 punti, ricordando che lo scorso anno la Fed ha già dimostrato di poter accelerare.
Il vero bivio di Jackson Hole non riguarda la contrapposizione tra debolezza che spaventa e debolezza che giustifica, ma la credibilità della Fed. Se Powell incornicerà il rallentamento di consumi e lavoro solo come rischio macro, senza collegarlo a un percorso di politica monetaria coerente, i mercati potrebbero leggerlo come preludio a una frenata più marcata, ricalcando il 2018. Se invece la debolezza sarà trasformata in giustificazione per accelerare i tagli, i mercati potrebbero premiare la scelta, ma solo se la Fed mostrerà di avere margini reali per farlo. La posta in gioco non è il tono, ma la capacità di mantenere coerenza tra narrativa e dati. È lì che si deciderà se il “dopo” sarà un nuovo rally o una correzione.
La Finestra sui Mercati
Tutte le mattine la newsletter con le idee di investimento!
