Prezzi dell’energia, trovare un equilibrio di lungo periodo


Nonostante i recenti ribassi, dall'inizio del 2019 a fine novembre 2022 i prezzi di petrolio e gas naturale sono aumentati rispettivamente del 54% e del 392%. La sfida attuale che i governi sono chiamati a vincere è riportare in equilibrio di lungo periodo i prezzi dell’energia.


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Come è messo il nostro paese di fronte ad una congiuntura internazionale che vede la crescita economica mondiale contrarsi?

Cominciamo quindi a delineare il quadro internazionale. E’ sotto gli occhi di tutti come l'economia globale stia affrontando una nuova sfida soprattutto sul fronte geopolitico. In un mondo in cui la crisi economica legata alla pandemia da Covid-19 non sembra ancora del tutto alle spalle, le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina e l’incertezza che ne deriva, stanno impattando ulteriormente sull'attività economica.

Questi due fattori contribuiranno ad un rallentamento della crescita del PIL reale mondiale nel 2023 che, secondo le stime di EY, dovrebbe fermarsi all’1,3% (2,7% medio l’anno negli ultimi 10 anni e 3,1% nel 2022.

L’effetto maggiore delle due concause individuate è il tasso di crescita dei prezzi dei paesi avanzati, schizzato ai massimi degli ultimi 40 anni. Tanto è vero che la media dell’inflazione nei paesi OCSE attesa per il 2022 è del 9,4%, quasi sei volte la media del periodo 2013-2019, pari all’1,6%.

L’inflazione elevata in presenza di una produttività in calo, pesa sulle prospettive economiche delle imprese (costi di produzione più elevati) e delle famiglie (riduce il reddito reale) costringendo le banche centrali a politiche monetarie restrittive al fine di raggiungere un tasso di inflazione di equilibrio rispetto alla crescita economica e della produttività, nell’intorno del 2%.

La sfida principale per l'economia mondiale (ed europea in particolare) che i governi sono chiamati a vincere è riportare stabilmente il mercato energetico in un equilibrio stabile. Se prendiamo i prezzi del petrolio e del gas naturale come riferimento e ne osserviamo le variazioni scopriamo che dall'inizio del 2019 a fine novembre 2022 si è registrato un aumento dei prezzi rispettivamente del 54% e del 392% (nonostante i recenti ribassi). Non tragga in inganno la flessione registrata negli ultimi mesi, legata principalmente alla diminuzione della domanda e al clima mite di questo autunno, che ha permesso di riempire gli stoccaggi in numerosi paesi europei e di calmierare le aspettative di possibili squilibri tra domanda e offerta.

Guardando all’Europa e all’Italia, riteniamo interessante analizzare i contributi delle singole componenti dell’indice dei prezzi al consumo. Se scomponiamo l'aumento dell'IPC Italiano, notiamo come l'aumento del prezzo dell'energia contribuisca per circa la metà dell'inflazione totale che ricordiamo, a novembre è risultata pari all’11,8% YoY. Tassi di crescita dei prezzi così elevati si riscontrano anche nel resto delle economie europee, con Francia, Germania e Spagna che registrano aumenti rispettivamente del 6,2%, 10,0%, e del 6,8% a novembre YoY)

La significativa inversione della tendenza al rialzo dei prezzi alla produzione registrata nel corso degli ultimi mesi è attesa presto riflettersi anche nell’indice dei prezzi al consumo. Nel frattempo, l’economia italiana ha evidenziato un’inaspettata dinamicità nei primi tre trimestri del 2022, grazie soprattutto alla domanda interna delle famiglie e agli investimenti.

Gli indicatori più veloci delineano tuttavia una prospettiva incerta per il 4Q22 e per quelli successivi, quale conseguenza dell’elevata inflazione e del suo effetto sul reddito disponibile reale delle famiglie (che sono attese smorzare i consumi) e sui costi delle imprese (che sono attese ridurre gli investimenti). Le previsioni di EY per l’Italia indicano una crescita del PIL reale del 3,8% nel 2022 e dello 0,6% nel 2023, mentre l’inflazione dovrebbe passere dall’8,2% del 2022 al 7,1% del 2023.

Nonostante la flessione del reddito reale, i consumi sono attesi rimanere stabili nel corso del 2023. Le esportazioni, anche se in rallentamento, dovrebbero tornare ad apportare un contributo netto positivo alla crescita. Per quanto riguarda gli investimenti, saranno ancora in crescita ma ad un tasso inferiore rispetto al 2021 proprio a causa di uno scenario economico più debole e incerto e a tassi d’interesse più elevati.

Il deficit pubblico dovrebbe attestarsi al 5% nel 2022 e al 4,1% nel 2023, mentre il debito pubblico è atteso proseguire la sua discesa dai picchi della crisi legata alla pandemia, scendendo verso il 145% del PIL (valori comunque ancora mediamente molto elevati)

Non dimentichiamoci però il PNRR, che giocherà un ruolo fondamentale di sostengo al PIL già a cominciare dal 2023 (in assenza del PNRR la variazione del Pil sarebbe stata con tutta probabilità negativa).

Come al solito, esistono rischi positivi (al rialzo) e rischi negativi (al ribasso). Tra i primi EY identifica:

Riduzione delle tensioni geopolitiche. Le tensioni legate alla guerra tra Russia e Ucraina si potrebbero attenuare più rapidamente del previsto, con ricadute positive sull'economia globale e soprattutto su quella europea;

Riduzione dei prezzi dell'energia: la riduzione delle tensioni geopolitiche potrebbe comportare una riduzione dei prezzi dell'energia, allentando le pressioni su inflazione e crescita;

Ulteriore riduzione delle tensioni lungo la catena di approvvigionamento. Le pressioni sulle catene di approvvigionamento potrebbero attenuarsi ulteriormente nei prossimi mesi. Da monitorare attentamente gli indicatori di breve termine come il NY FED Global Supply Chain Pressure Index o il Baltic Dry Index, che risultano essere particolarmente importanti nel delineare le dinamiche lungo le catene di fornitura.

Tra i rischi al ribasso invece:

La situazione geopolitica potrebbe non risolversi nel breve termine, o potrebbe addirittura peggiorare nei prossimi mesi, mettendo ancora di più a dura prova l’economia Europea;

La politica monetaria più aggressiva della BCE potrebbe influire in maniera maggiore delle stime, sulle decisioni di consumo delle famiglie e sulle decisioni di investimento delle imprese, peggiorando le previsioni di crescita del PIL;

Stati Uniti. L'inflazione elevata e la politica monetaria restrittiva potrebbero portare a un peggioramento delle prospettive economiche. Considerata la sincronia dei cicli economici statunitense ed europeo (storicamente quello europeo è in ritardo di qualche trimestre), l’andamento dell’economia USA è da monitorare attentamente per anticipare possibili ricadute negative sulla nostra economia;

I consumi privati potrebbero reagire in modo più forte all’aumento dei prezzi nel corso del 2023 pesando sulla crescita del PIL.

Rallentamento delle economie emergenti. Il forte apprezzamento del dollaro aumenta in modo significativo le pressioni sui prezzi interni e la crisi del costo della vita nelle economie emergenti.

Incertezze legate alle politiche cinesi zero-covid. L’abbandono delle politiche restrittive zero-covid in Cina potrebbe tradursi in un ulteriore aumento dei prezzi dell’energia. Dall’altro lato, il mantenimento di queste politiche potrebbe affievolire la ripresa economica mondiale;

PNRR. Il mancato raggiungimento degli obiettivi del PNRR e/o la sua parziale attuazione potrebbe rallentare il ritmo di crescita degli investimenti, e quindi dell’economia italiana nel suo complesso. Il tema potrebbe avere anche delle ripercussioni sul PIL potenziale e quindi sulle prospettive di crescita a medio-lungo periodo.

Quali investimenti in questa situazione d’incertezza. Sicuramente tutte quelle società legate all’attuazione del NGeu e del PNRR. Quindi, quelle legate all’energia in senso generale, alle reti di trasmissione, alla cura della persona e alla salute.

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