Puma: declino, cessione e rilancio. Una partita giocata tutta in Cina

Puma: declino, cessione e rilancio. Una partita giocata tutta in Cina

Dopo anni di insuccessi, la famiglia Pinault (Kering), principale azionista del marchio di sportswear, sta valutando la vendita. In pole position fra i possibili acquirenti ci sarebbero i gruppi cinesi Anta Sports e Li Ning, entrambi protagonisti di una rapida espansione negli ultimi anni.

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Quotazioni dimezzate in otto mesi

Secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg, la famiglia Pinault starebbe valutando la cessione della propria quota del 29% di Puma, la società tedesca di calzature e abbigliamento sportivo. La notizia ha immediatamente acceso l’interesse degli investitori: lunedì 25 agosto il titolo, quotato a Francoforte, ha messo a segno un balzo del 15% fino a 21,30 euro, segnando il rialzo più forte da oltre vent’anni. Oggi, complice la presa di beneficio, le azioni hanno ceduto l’1%.

Il movimento rialzista va però contestualizzato in un quadro di forte debolezza. Dall’inizio del 2025 Puma ha perso il 51% del proprio valore di Borsa, mentre negli ultimi dodici mesi il calo è stato del 43%. Una performance deludente, frutto di vendite inferiori alle attese, pressioni competitive crescenti e un posizionamento internazionale che non ha mai consentito al brand di compiere il salto di qualità.

Il confronto con la storica rivale Adidas

Il confronto con la storica rivale Adidas, che condivide con Puma le radici nella cittadina bavarese di Herzogenaurach, fotografa bene il divario. Fondate entrambe nel 1948 dai fratelli Dassler – Rudolf per Puma e Adolf per Adidas – le due aziende hanno preso strade divergenti. Oggi Adidas vanta ricavi per 25 miliardi di euro e una previsione di utile 2025 attorno a 1,3 miliardi. Puma, al contrario, stima una perdita di 420 milioni a fronte di vendite per 7,5 miliardi. Sul fronte borsistico il divario è ancora più marcato: 30 miliardi la capitalizzazione di Adidas, appena 3,1 quella di Puma.

L’era Pinault inizia nel 2007

L’ingresso della famiglia Pinault in Puma risale al 2007, quando la holding Artemis, che controlla anche Kering, acquisì il 62% del capitale per circa 5,3 miliardi di euro. L’operazione portò il brand tedesco all’interno del colosso del lusso, con l’obiettivo di valorizzarne la componente lifestyle e sfruttare le sinergie di gruppo. Undici anni più tardi, nel 2018, Kering decise però di distribuire la maggior parte della quota agli azionisti, mantenendo in capo ad Artemis un pacchetto del 29%: la partecipazione che oggi, secondo Bloomberg, è oggetto di possibili trattative.

Nonostante l’ombrello dei Pinault, Puma non è riuscita a sviluppare una massa critica paragonabile ai leader del settore. Particolarmente evidente il gap sul mercato cinese: nel 2024 Adidas ha generato ricavi per 3,4 miliardi di euro, mentre Puma si è fermata a 600 milioni. Un dato che pesa, considerando che la Cina rappresenta il terreno decisivo per la crescita globale dello sportswear.

Le ipotesi di vendita

Secondo le indiscrezioni, Artemis avrebbe già sondato l’interesse di potenziali acquirenti tra i grandi player internazionali. In pole position ci sarebbero i gruppi cinesi Anta Sports e Li Ning, entrambi protagonisti di una rapida espansione negli ultimi anni. Anta, terzo operatore mondiale dietro a Nike e Adidas, controlla marchi come Fila, Descente e Jack Wolfskin e vanta testimonial sportivi di primo piano. Li Ning, fondata dall’ex ginnasta olimpico omonimo, è diventata un punto di riferimento in Asia grazie a un’offerta che spazia dalle calzature alle attrezzature per badminton e ping pong.

Non si escludono però anche soggetti statunitensi e fondi sovrani del Medio Oriente, attratti dalla possibilità di rilevare un marchio noto a livello globale a prezzi relativamente contenuti rispetto ai picchi del passato. Al momento, tuttavia, non vi è alcuna conferma ufficiale e le discussioni restano in fase preliminare.

Le sfide di Puma

Qualunque sia l’esito delle trattative, il futuro di Puma appare complesso. Negli ultimi trimestri la società ha emesso più profit warning, segnalando la difficoltà a generare margini soddisfacenti in un contesto di forte concorrenza. L’arrivo al vertice del nuovo CEO Arthur Hoeld e la recente nomina di Andreas Hubert, ex Adidas, come direttore operativo rappresentano un tentativo di rilancio. Ma la strada resta in salita, soprattutto mentre marchi emergenti come On, Hoka e New Balance stanno guadagnando terreno a livello globale.

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